Campi profughi: gabbie che salvano, ma spengono i sogni

Chiara Putaggio

Campi profughi: gabbie che salvano, ma spengono i sogni

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martedì 20 Giugno 2017 - 08:43

“Ogni uomo deve vivere per la propria libertà non per stare chiuso in una gabbia”. Lo ha detto Micol Sperandio, volontaria della Carovana artistica di Udine intervenuta nel dibattito dal titolo “Un posto nel mondo” inscritto all’interno della “Giornata del rifugiato” organizzata da una rete di associazioni nel complesso San Pietro in collaborazione con l’amministrazione comunale di Marsala.

È sorprendente come ascoltare le storie di chi ha avuto esperienza diretta nei campi profughi riesca a far cambiare la prospettiva. Si scopre così che i campi profughi in Giordania o in Grecia, che accolgono chi fugge dalla Siria, non hanno, come si potrebbe pensare da occidentali liberi, il carattere della temporaneità. Sono invece delle “città parallele”, stanziamenti stabili collocati in mezzo al nulla, in pieno deserto, dove chi via abita non rischia la vita, ma nemmeno la vive pienamente.

“I bambini ad esempio, non vanno a scuola – ha detto Micol – e qualora esista una qualche forma di studio, riguarda al massimo la lingua madre e l’inglese. Nulla di paragonabile ad una vera scuola. Ci sono bambini che sono nati lì e adulti che sanno bene che non torneranno mai nel loro Paese, sperano possano farlo un giorno i loro figli”. In questi non luoghi, senza tempo, in cui sono di fatto relegati i profughi, tutto è estremamente lontano. Il rimando immaginario che mi viene in mente è quello alla vicina Borgo Fazio, cittadella fascista artificiale creata, in mezzo alla campagna, per volere del regime e poi morta pochi decenni dopo la fine dello stesso; ma penso anche alla letteratura fantascientifica che vede i mondi paralleli coesistere senza che ognuno di avveda dell’altro. La realtà supera la fantascienza sulla rotta balcanica e i raccontastorie come Micol rinunciano alle loro certezze in cerca di bellezza nel fango e nella polvere dei campi.

“Ho scelto di coltivare l’immaginario delle persone perché i diritti sono di tutti, altrimenti sono privilegi. In questa esperienza ho sentito il bello”, dice con gli occhi lucidi. Eppure questi mondi paralleli che passano da Turchia, Grecia, Macedonia, Serbia, Bosnia nella speranza di arrivare all’Europa, non sono così estranei al nostro mondo.

“A Campobello di Mazara – ha detto Salvatore Inguì – ho organizzato un incontro presso il campo di un gruppo di 40 africani rimasti qui dalla scorsa raccolta delle olive con amici della Lombardia, i quali avevano perplessità nel varcare il limite del campo. Dopo l’incontro, i nostri amici della Lombardia piangevano per la vergogna delle cose che avevano pensato un attimo prima. Abbiamo a che fare con l’ignoranza di chi non conosce le storie umane. Assistiamo ad un tam tam di corbellerie. Abbiamo il dovere di raccontare ad aiutare a raccontare. Crediamo che il viaggio della speranza sia il tratto di mare, ma non sappiamo niente del deserto”.

Io ora coltivo un sogno, che Omar, 15enne del Mali giunto qui dopo aver attraversato tre Paesi, essere stato un mese prigioniero in Libia, dove ha subito percosse ed è stato tenuto senza cibo e spesso senz’acqua, possa riabbracciare la sua mamma. Perché per la legge italiana Omar è un bambino e ogni bambino qui ha il diritto a casa e famiglia.

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