Il consiglio comunale di Alcamo approva la mozione per intitolare un bene confiscato a Gaspare Stellino, il commerciante che disse no al pizzo

redazione

Il consiglio comunale di Alcamo approva la mozione per intitolare un bene confiscato a Gaspare Stellino, il commerciante che disse no al pizzo

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venerdì 30 Settembre 2016 - 16:19

Ieri, in tarda serata, l’aula consiliare ha approvato all’unanimità dei presenti la mozione presentata dal Movimento 5 Stelle concernente l’intitolazione di un bene confiscato alla mafia, affidato al comune di Alcamo, al commerciante alcamese Gaspare Stellino, scomparso 19 anni fa. Noi di ItacaNotizie.it abbiamo contattato la figlia Eleonora che sul pizzo oggi afferma “Non so se altri pagano. Se vengono a chiedere, non esiste. Non sono più quei tempi”

Aveva 57 anni Gaspare Stellino, il titolare di una rinomata torrefazione sita in Corso VI Aprile, quando decise di metter fine ai suoi giorni. Era il 12 settembre del 1997 e in quella data, che segnerà per sempre la vita dei suoi familiari, il signor Stellino doveva essere interrogato dalla Direzione Investigativa Antimafia di Trapani, in quanto un anno prima era stata effettuata un’operazione denominata “Cadice”. Detta indagine aveva portato all’arresto di circa 20 persone riconducibili al clan Melodia, che imponeva il pizzo ai commercianti alcamesi. Gaspare Stellino era uno di questi, ma aveva deciso di alzare la testa e confermare le accuse e le prove raccolte dagli investigatori proprio contro la famiglia mafiosa. Stellino, uomo dotato di straordinario coraggio in una Alcamo dove regnava l’omertà, era allo stesso tempo un uomo solo. All’epoca non era semplice trovare solidarietà tra gli esercenti commerciali, così come nelle istituzioni, ma, forse, non è facile trovarla ancora oggi. Probabilmente, per proteggere la sua famiglia, composta dalla moglie e i due figli, da eventuali ritorsioni, Gaspare Stellino scelse il gesto estremo. Bisogna dire grazie anche alle sue denunce, pagate con un prezzo altissimo, se dopo tre anni a Trapani, nell’ottobre 2002, il processo scaturito dalla investigazione, di cui sopra, si è concluso. La sentenza emessa dal giudice si è tradotta in una dura condanna per i mafiosi estortori. Complessivamente, gli 8 dei 10 imputati (due assolti) sono stati condannati a 76 anni e 11 mesi. La pena più severa è stata inflitta al capomafia di Alcamo, Nino Melodia: 25 anni e 4 mesi. Poi, a Tommaso Gallo,17 anni e 6 mesi; Ignazio Melodia, 11 anni; Vito Coraci, 9 anni; Salvatore Giacalone, 5 anni e 10 mesi; Luciano Melodia, 5 anni e 6 mesi; Giuseppe Calabrò, 2 anni; infine, a Antonino Bosco 9 mesi. Purtroppo, nell’ambito di quel procedimento giudiziario emerse che la mafia continuava a ordinare le estorsioni nei confronti dei negozianti alcamesi anche dal carcere. Isidoro Stellino, il figlio di Gaspare, all’epoca diciannovenne, continuò a portare avanti l’attività del padre, sostenuto dalla madre e la sorella di soli 14 anni. “Io non mollerò, continuerò l’attività di mio padre, non voglio abbandonare, debbo farcela a ogni costo”, aveva affermato durante i funerali. Oggi, possiamo dire che Isidoro ce l’ha fatta, ha mantenuto quella promessa, occupandosi della gestione della torrefazione insieme alla sua famiglia. Prima della votazione in consiglio comunale che ieri sera, quasi al termine della sua seduta, ha approvato all’unanimità dei presenti la mozione presentata dal M5S sull’intitolazione di un bene confiscato al commerciante alcamese scomparso, abbiamo contattato la figlia Eleonora Stellino, la quale, per la prima volta, ha rilasciato delle dichiarazioni. In merito all’iniziativa, la figlia di Stellino ha affermato “Ne abbiamo parlato con mia madre e con mio fratello. Ci è piaciuta l’idea di non intitolare la strada, ma qualcosa di diverso”, riferendosi all’intenzione del comune di Alcamo di dedicare a suo padre un bene confiscato alla criminalità mafiosa. A quasi vent’anni di distanza Eleonora Stellino ha ricordato “Io avevo 14 anni e mio fratello 19. Ci siamo messi subito a lavoro lo stesso, cercando di portare avanti la torrefazione”. Da quel lontano 1997 non hanno più, secondo quanto dichiarato da Eleonora, registrato episodi di estorsione. “Non so se altri pagano. Se vengono a chiedere, non esiste. Non sono più quei tempi”. E, ha continuato “Noi da quel giorno non abbiamo ricevuto più nessuna telefonata anomala”. Poi, ha spiegato “Io a 14 anni andavo a scuola, vivevo in un altro mondo. Non mi ricordo bene. Mia madre certo sapeva, magari non tanto, perché mio padre gli nascondeva le cose”. Interpellate entrambe se avevano ricevuto in quegli anni solidarietà da parte degli altri commercianti, hanno ribadito “No assolutamente. Silenzio”. Dunque, la paura e l’omertà sono state le risposte degli alcamesi all’imposizione del pizzo, per circa un ventennio dai quei tragici eventi. Non tutti, però, hanno taciuto e girato la testa, facendo finta di non vedere le mani della criminalità sulla città. Nel corso del nuovo millennio, ci sono stati dei tentativi sporadici nel ribadire il “No alla mafia”. Lo ha fatto un gruppo di giovani che ha tappezzato Alcamo, il 7 settembre del 2004, con diversi manifesti in cui era riportata la frase “Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”, emulando l’azione condotta dall’associazione Addiopizzo di Palermo di qualche tempo prima. Addirittura, si era costituito ad Alcamo un Osservatorio antimafia che aveva rivendicato la paternità dell’iniziativa, criticata tra l’altro dall’amministrazione dell’epoca, guidata dall’ex sindaco Giacomo Scala, che fece rimuovere immediatamente le locandine sparse in città.

L’associazione Antiracket

Qualche mese prima, il 20 luglio del 2004, era stata costituita l’Associazione Antiracket ad Alcamo, fortemente voluta proprio da quella classe dirigente che aveva criticato l’azione di cui sopra e che segnerà la politica degli anni avvenire. Tra i soci fondatori ricordiamo: Pasquale Perricone (ex assessore della giunta Scala e vice sindaco di Sebastiano Bonventre, attualmente agli arresti per truffa e corruzione), Marzio Bresciani (ex sindaco di Castellammare del Golfo), Massimo Ferrara (ex sindaco del centrosinistra negli anni’90), Ignazio Filippi (ex consigliere comunale dei DS, poi PD). Tra gli aderenti vi erano inoltre: Girolamo Turano (in politica dal ’96, attualmente deputato dell’UDC all’ARS), Gaspare Noto (ex assessore, ex Pd, oggi nel movimento “I coraggiosi” fondato da Fabrizio Ferrantelli), Francesco Paolo Lucchese (in politica dal ’94, è stato più volte deputato al parlamento nazionale nel CCD, poi UDC), Francesco Ferrarella (prima nel Biancofirore, vicino all’ex deputato regionale Pino Giammarinaro, poi consigliere Pd. Nel 2016, candidatosi in una lista collegata all’aspirante sindaco Saro Lauria, non è stato rieletto) Salvatore Trovato (ex consigliere comunale dell’Udc, anche lui nel 2016 a sostegno del candidato sindaco Lauria, non è stato rieletto), aggiuntosi negli anni avvenire. L’associazione, il cui direttivo è stato più volte ricostituito dalla sua nascita, risultava, quindi, molto politicizzata. Inoltre, sembrerebbe che gravitassero attorno all’organizzazione a fine sociale i due principali esponenti del centro destra e centro sinistra ad Alcamo: Norino Fratello, ex deputato regionale dell’UDC, che ha patteggiato 18 mesi di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, e Antonino Papania, ex senatore del PD, condannato in primo grado per voto di scambio. Attualmente è imputato, sempre per lo stesso reato in un altro filone del processo. Dunque, senza timore, si può affermare che l’Associazione Antiracket, almeno ai suoi albori, non annoverava tra i componenti il massimo della trasparenza e legalità cui potrebbe attendersi un commerciante in difficoltà alla ricerca di persone di cui fidarsi.

Le estorsioni sono ancora diffuse?

Nonostante i vari tentativi dell’Associazione Antiracket, sembrerebbe, dalle successive indagini della magistratura, che le estorsioni non siano affatto cessate. Nel novembre del 2009, altri arresti effettuati dagli Agenti della Squadra mobile di Trapani e dal commissariato di Alcamo hanno ricostruito l’organizzazione mafiosa della città, controllata dalla storica famiglia dei Melodia, legata al boss latitante Matteo Messina Denaro, che imponeva richieste di pizzo a concessionarie di auto e imprese dai 10 mila ai 200 mila euro. Nel 2013, dopo alcuni attentati incendiari ai danni di imprenditori e commercianti, la società civile alcamese organizzò un corteo di solidarietà al quale presero parte un centinaio di persone. Un ulteriore dimostrazione che ancora c’è tanto da fare per estirpare l’omertà e, dunque, la cultura mafiosa ad Alcamo. Tuttavia, ieri, l’approvazione all’unanimità dei presenti della mozione dei 5 stelle ha lanciato un segnale chiaro alla cittadina alcamese. Come il consigliere dell’opposizione Gino Pitò di Alcamo cambierà, che ha ricordato, durante le intenzioni di voto, il clima freddo, brutto, della comunità alcamese in risposta ai fatti del’97; non si può indugiare dinanzi a temi di questo genere, auspicando la risposta univoca, poi verificatesi, dell’intero consiglio. La mozione del Movimento pentastellato seguiva l’annuncio fatto, in un video, il giorno prima dal sindaco di Alcamo Domenico Surdi, in merito all’affidamento dei beni confiscati di proprietà del comune (circa una quarantina), ossia, la volontà dell’amministrazione di cedere tali beni con avviso pubblico, rompendo con la forma diretta seguita in passato. Dunque, dalle istituzioni viene inviato un messaggio di trasparenza verso quelle vittime di mafia, come la famiglia di Gaspare Stellino, nella speranza che oggi più di ieri il suo grido di libertà sia sostenuto senza alcuna esitazione.

Linda Ferrara

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