Da Marsala a Raqqa

Chiara Putaggio

Da Marsala a Raqqa

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mercoledì 18 Novembre 2015 - 10:38

Marsala sa cos’è un bombardamento. Le nostre nonne ricordano bene quello dell’11 maggio 1943. Per tutti noi che non c’eravamo ancora, per rinnovare la memoria di quello scempio, Giacomo Frazzitta, con l’associazione culturale Arco ha realizzato un pregevole lavoro teatrale che da due anni viene portato in scena e che, per la prima volta, ha immortalato quanto accadde, raccontandolo anche il punto di vista della gente comune. “Il cielo divenne completamente nero”. Gli aerei degli “alleati” erano talmente tanti da oscurare la luce del sole. Tutto fu diverso dopo quel giorno. La motivazione che mosse gli aeri carichi di bombe (alcune ancora, di tanto in tanto, specie in estate, vengono avvistate in mare dai bagnanti) era la notizia che nella nostra città ci fosse il feldmaresciallo Erwin Rommel, la cosiddetta Volpe del deserto, punta di diamante dell’esercito tedesco. Uccidendo lui, le truppe alleate avrebbero segnato un eccezionale colpo vincente, fiaccando i nemici teutonici.  Chissà cosa ne avrebbero pensato i bambini del Giardino d’infanzia di allora, del fatto che un così noto e temuto militare si trovasse proprio a Marsala? Fatto sta che la nostra città fu ritenuta strategica. Fu ritenuto opportuno raderla pressoché al suolo, pur di eliminare quel nemico. Centinaia di aerei per un manipolo di tedeschi, che, tra le altre cose, non riuscirono neppure a colpire. Rommel morirà il 14 ottobre del 1944. Cosa rimase di quel bombardamento? Una medaglia al valore civile per la nostra città e delle vittime, tante, che ancora urlano una giustizia che non potrà mai arrivare. Ecco, per quanto possano sembrare giuste le ragioni di un bombardamento, per quanto sia essenziale fermare il terrorismo e tutte le violazioni dei diritti umani, io credo che l’unico aiuto che possa arrivare dall’alto sia quello divino. Bombardare Raqqa, all’indomani delle stragi di Parigi, è una reazione di un Paese ferito che sanguina e che vuole vendetta. Ma se quelle bombe hanno ucciso anche un solo innocente, nessuna giustizia potrà derivarne. Quale soluzione allora? Ci vorranno 250 anni per insegnare la democrazia, considerato il fatto che anche noi civili occidentali non ne siamo molto esperti, ma credo che non affamare i popoli già ripetutamente colonizzati e svenati, sia una possibilità. Buona parte dei giovani assoldati dall’ISIS all’inizio sceglie questa strada perché le loro prestazioni vengono pagate. E dunque il lavoro e la scuola sono le strade che conducono, sempre, alla dignità e alla pace.

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