Gli spari, la precarietà, la sostanza

Chiara Putaggio

Gli spari, la precarietà, la sostanza

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giovedì 16 Marzo 2017 - 07:16

Il giornalista deve fornire chiavi di lettura, deve puntare l’accento sull’incipit attraverso il quale sfogliare le pagine del quotidiano e, se necessario, deve demistificare i falsi miti.

Di certo dietro l’atto becero che si è verificato a Petrosino domenica sera non c’è la criminalità organizzata e nemmeno un fine genio del male. La mia esperienza mi fa pensare che si tratti piuttosto di un regolamento di conti fatto d’impeto, magari dopo una lite piuttosto accesa. È chiaro che se lo “sparatore” fosse un professionista del crimine, adesso non staremmo parlando di colpi contro un immobile, ma di vittime. Anche la scelta dell’ora è indicativa. Un delinquente professionista agisce in piena notte e fa trovare la “sorpresa” al mattino. Un caricatore consumato alle 20 di domenica è segno di un momento di rabbia le cui conseguenze (compresi i due ragazzi feriti di rimbalzo) sono certamente preterintenzionali.

Se dovessi parlare, invece, di atti intimidatori quello più eclatante che mi viene in mente, nel passato recente, è l’auto di una vigilessa posteggiata davanti al Comune che una mattina d’estate è stata trovata letteralmente carbonizzata. Il resto va inteso nella sua dimensione.

Va precisato che è un atto gravissimo che forse indulge verso un altro fenomeno: il disfacimento della stabilità. Insomma è un indicatore della precarietà di questo tempo. Precarietà nel lavoro, instabilità nelle relazioni – che sono sempre più virtuali che reali -, trionfo dell’apparenza a discapito della sostanza (che diventa quasi necessaria suggestione per sopportare una quotidianità infarcita di insicurezza).

Senza contare che questo stato di cose opera una selezione naturale degli abitanti “made in sud”. Quelli migliori, quelli che economicamente possono, scappano al nord o, ultimamente sempre più spesso, all’estero – certamente non tutti, ma la maggior parte – lasciando qui gli ultimi delle file, i deprivati per condizioni sociali o culturali. E questi, col passare del tempo, che fine fanno? Il MIUR li definisce giovani Neet, acronimo delle parole inglesi: Not (engaged) in Education, Employment or Training”, in italiano indica persone che non studiano e non lavorano e per individuarli tempestivamente nelle scuole sono stati istituiti i nuclei GOSP, finalizzati a monitorare la dispersione. Ma si sa che le soluzioni si cercano quando il problema già si è presentato. Quindi i Neet esistono già e più passa il tempo più diventano adulti che piuttosto che essere produttivi per lo Stato, sono i principali destinatari degli ammortizzatori sociali, ove non siano coloro che danno da fare alle forze dell’ordine.

Tutto questo per dire che ogni fenomeno va letto nella sua complessità ed è correlato ad una certa temperie sociale. Nella sostanza è una questione di opportunità che, se mancano, trasformano la nostra terra, progressivamente in una seconda scelta, una sorta di stazione in cui i treni non passano, motivo per cui i passeggeri più ricchi partono comunque con l’aereo e quelli più poveri (nel senso più ampio del termine) restano immobili e arrabbiati.

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