Grexit, scrive Vincenzo Pantaleo: “Tra orgoglio greco e miopia tedesca”

redazione

Grexit, scrive Vincenzo Pantaleo: “Tra orgoglio greco e miopia tedesca”

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mercoledì 08 Luglio 2015 - 17:48

Il nostro paese non ha mai brillato per decisioni particolarmente coraggiose in politica estera.

Ne dà conferma la posizione italiana rispetto alla crisi greca.

Dopo i proclami degli ultimi mesi, nei quali aveva chiesto un cambiamento d’impostazione nella politica economica europea, quasi a volerci convincere che l’Italia sedeva al tavolo di Bruxelles con rinnovata consapevolezza del suo ruolo, il nostro premier è volato in Germania per far risaltare, anche mediaticamente, la sua vicinanza alle posizioni della cancelliera Merkel, non lesinando velenose stoccate (se non proprio vere e proprie lezioni) al governo di Atene.

Con una virata degna della migliore tradizione italica, immortalata dalle celebri pagine del Guicciardini, si è deciso di stare dalla parte del più forte (l’asse italo-tedesco ha generato mostri in passato), forse nella speranza di poter ottenere qualche sconto quando sarà il momento di ridiscutere la posizione italiana.

Consapevoli del fatto che i tedeschi – almeno quando si tratta degli altri – non guardano in faccia a nessuno e che sarebbero ben capaci di usare anche nei nostri confronti lo stesso metodo demolitorio che stanno imponendo alla Grecia.

Un metodo adoperato a convenienza.

Quando in passato si è trattato di far partire ad ogni costo la costruzione europea, con il lucido (ora sappiamo) intento di farla diventare quella che oggi è, una superburocrazia che ha preso il sopravvento sulle sovranità nazionali, non si è voluto vedere che i conti ellenici erano inficiati da grossolani artifici contabili.

In quella occasione gli intransigenti falchi tedeschi non opposero divieti all’entrata della Grecia nell’unione monetaria; ciò valse anche per il nostro paese, che pare non avesse anch’esso i conti perfettamente in ordine per farne parte.

La finta miopia tedesca era prodromica alla costruzione di un’Europa a due livelli, con la funzionalizzazione dei paesi più deboli a vantaggio di quelli più forti, secondo una ben precisa legge economica che prevede che l’espansione degli uni debba realizzarsi tramite la depressione degli altri.

Così ancora quando nel 2010 si trattò di prendere contezza dell’entità del debito greco (all’epoca ben più limitato), di nuovo non si volle vedere e si rifiutò qualsivoglia ipotesi di ristrutturazione che conducesse a restituzioni parziali ai paesi creditori.

Ne è conseguita l’imposizione di nuove misure di austerità che hanno ulteriormente piagato la già asfittica economia ellenica.

Sottovalutando i greci, che nel corso della loro storia hanno sempre dimostrato non solo di sentirsi nazione, ma anche di saper vendere cara la pelle.

E siamo a queste ore, nelle quali si assiste a un nuovo pugno di ferro delle politiche del rigore, con il sospetto che si stia deliberatamente tentando di spingere la Grecia verso il default, quasi ad ammonimento per i paesi economicamente più fragili, tra i quali vi è certamente il nostro.

In modo ancora una volta miope, senza considerare (come invece è chiaro oltreoceano) che il problema greco non è solo economico ma ha importanti risvolti geopolitici, essendo quel paese crocevia verso altre nazioni (come la Turchia) ai cui confini si annidano i focolai del fondamentalismo islamico e al contempo oggetto degli appetiti delle potenze asiatiche che spingono ai confini europei.

E allora, davvero la posizione italiana ha un senso o piuttosto è l’ennesima manifestazione di un illusorio opportunismo?

Il risultato del referendum greco si inserisce in questo contesto e può essere letto in un modo e persino nel suo contrario: l’unica domanda interessante che ci pone non è se i greci vogliono o meno rimanere nella moneta unica, ma quale modello di Europa si profila per tutti noi negli anni a venire.

Rispetto a tale interrogativo l’Italia, per ora, ha deciso di non decidere, di allinearsi alle direttive che promanano sempre più spesso da improbabili bilateriali franco-tedeschi e non da scelte condivise tra tutti i paesi dell’Unione.

Un politico di lungo corso come Massimo D’Alema ha svelato di quali manovre speculative siano tuttora oggetto i titoli di stato greci a vantaggio delle banche tedesche e francesi, le quali hanno continuato ad acquistarli per poter lucrare i tassi di interesse al 15%, sotto l’ombrello degli aiuti europei.

Certo, non si possono ignorare le colpe di un paese che è vissuto per decenni al di sopra delle proprie possibilità, che ha costruito un finto benessere grazie all’esplosione della spesa pubblica, che ha garantito inammissibili privilegi ad intere categorie, rispetto ai quali si mostra ancora restio alla loro eliminazione.

Ma ogni italiano avveduto non può far finta di ignorare oggi che quelle appena descritte sono condizioni che si ritrovano specularmente nel nostro paese.

Concludo queste brevi riflessioni tornando al titolo.

Durante gli (ormai lontani) esami di maturità mi capitò di imbattermi in un bellissimo volume sul valore universale della civiltà ellenica: si intitolava “L’uomo greco” ed era stato pubblicato nel 1946, all’indomani delle macerie lasciate dal nazismo, da uno dei più grandi filologi tedeschi, Max Pohlenz.

Aveva una dedica che suonerebbe oggi come una beffa: “all’uomo tedesco nel momento del più estremo bisogno, certo di una sua rinascita spirituale”.

Pare che nessuna copia sia mai pervenuta alla biblioteca della Cancelleria di Berlino.

Vincenzo Pantaleo

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