“I bambini violati non hanno voce”. Il dramma della pedofilia raccontato dal giornalista Maurizio Macaluso

Vincenzo Figlioli

“I bambini violati non hanno voce”. Il dramma della pedofilia raccontato dal giornalista Maurizio Macaluso

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giovedì 28 Gennaio 2016 - 18:56

Per un giornalista che si occupa quotidianamente di cronaca, la pedofilia è uno dei temi sicuramente più delicati da trattare. Da un lato la necessità di rispettare le regole deontologiche e la presunzione di innocenza, dall’altro lato la difficoltà a mantenere quella “giusta distanza” che spesso cozza con l’umana pietas nei confronti delle presunte vittime. Da esperto cronista, il giornalista trapanese Maurizio Macaluso ha trovato la formula più adeguata per raccontare una storia di abusi che va al di là di moralismi e pudori su cui è incentrato il libro “L’uomo che amava i bambini”, che verrà presentato a Trapani sabato 30 gennaio, a partire dalle 17, presso la sede del laboratorio d’arte “Spazio OniricO” (in via Orfani, 48). Per l’occasione, saranno presenti accanto all’autore la psicologa e psicoterapeuta Letizia Cacciabaudo e la giornalista Ornella Fulco. In vista di quest’appuntamento, abbiamo approfondito con Maurizio Macaluso i temi portanti del libro, cercando anche di allargare la discussione a una più generale riflessione sul mestiere del cronista in provincia di Trapani.

Cominciamo dal libro. Qual è la miccia narrativa da cui sei partito?

“Nel corso della mia attività di giornalista mi sono occupato spesso di casi di pedofilia. Storie drammatiche e dolorose. Di pedofilia oggi si parla ancora poco e spesso in modo sbagliato. Si organizzano incontri e tavole rotonde con esperti e operatori del settore. Non si ascoltano, però, quasi mai le vittime. I bambini violati non hanno voce. Per queste ragioni ho deciso di scrivere questo libro, dar voce ai bambini violati. L’ho fatto attraverso la narrativa. La vicenda di Ninni, il protagonista del mio libro, prende spunto da storie realmente accadute. Per interrogarsi e provare a riflettere insieme”.

Il tema della pedofilia è uno tra i più delicati da trattare per un cronista. Qual è l’atteggiamento giusto per farlo?

“Bisogna essere innanzitutto prudenti. Non solo per tutelare le vittime ma anche gli indagati. Non va commesso l’errore di sbattere il mostro in prima pagina. Vent’anni nelle aule giudiziarie mi hanno insegnato che non sempre i fatti sono come appaiono”.

In generale, i minori vittime di abusi e molestie possono contare su una rete sociale adeguata per superare i traumi che hanno vissuto?

“Oggi c’è una rete sociale in grado di aiutare le vittime. Ci sono professionisti e operatori preparati. Il vero problema è che, ancora oggi, molte vittime non denunciano. Subiscono in silenzio senza avere il coraggio di ribellarsi. E senza un adeguato supporto psicologico, restano per sempre segnate con gravi ripercussioni sulle loro vite e sui rapporti interpersonali”.

Da giornalista a scrittore: come cambia l’approccio?

“E’ completamente diverso. Da cronista hai l’obbligo di riferire i fatti in modo asettico. Non puoi lasciarti coinvolgere o lasciarti trasportare dalle emozioni. Errore che è facile commettere quando ti occupi di pedofili. Chiunque, fino a sentenza definitiva, ha diritto alla presunzione di innocenza. Da scrittore, invece, puoi concederti delle libertà. Non sei vincolato ai fatti. Puoi emozionarti ed esprimere liberamente il tuo pensiero”.

La tua firma è ormai da anni un punto di riferimento per i lettori del trapanese. Com’è cambiato questo lavoro rispetto a quando hai iniziato?

“Decisamente in peggio. Quando ho iniziato c’erano pochi mezzi ma tanto entusiasmo. C’erano il tempo e la voglia di fare inchieste. Oggi ci si limita a rimpastare i comunicati stampa. Si scrive di fatti di cronaca standosene comodamente seduti alle proprie scrivanie. Con la crisi, poi, la situazione è ulteriormente peggiorata. Molti giornali hanno chiuso e quelli rimasti vivacchiano. E quando è a rischio la stessa sopravvivenza, la qualità diventa un dettaglio secondario. Purtroppo a nessuno importa dei giornalisti. Ogni giorno si organizzano tavoli e conferenze di servizio per aiutare i comparti in difficoltà ma della stampa nessuno si occupa”.

Spesso noi giornalisti abbiamo la presunzione di rendere migliore un territorio grazie al loro racconto quotidiano. Ritieni che la generazione a cui appartieni sia riuscita a far crescere la coscienza civile in provincia di Trapani?

“Purtroppo no. Credo che un giornalista dovrebbe raccontare i fatti. Se usi la professione per costruire improbabili carriere, per danneggiare il collega, andare dietro al politico di turno, non fai certo il tuo dovere. E’ questo quello che è accaduto, che accade in provincia di Trapani, ma nessuno ha il coraggio di dirlo. Chi non si è adeguato, non ha saputo o voluto sgomitare, è rimasto indietro. Oggi vedo alcuni giovani colleghi che hanno la presunzione di fare bene e meglio. Auguro a loro maggiore fortuna”.

*Maurizio Macaluso ha 44 anni ed è originario di Trapani, dove vive. Fa il giornalista in Sicilia. Cronista di giudiziaria, ha seguito importanti processi di mafia come quello per l’omicidio del giornalista e sociologo Mauro Rostagno. Sua l’inchiesta giornalistica da cui è scaturita la riapertura dell’indagine sulla strage di Alcamo Marina. Raccontare è il suo obiettivo, sia quando si cimenta nella scrittura di romanzi sia quando si occupa dei più scottanti casi di cronaca che approdano nelle aule di giustizia. “L’uomo che amava i bambini”, pubblicato nel 2000 da una casa editrice siciliana, è ora riproposto in un’edizione totalmente rinnovata e in formato ebook su Amazon.

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