I vandali costruiscono muri

Chiara Putaggio

I vandali costruiscono muri

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mercoledì 04 Aprile 2018 - 06:05

Quale gioventù può essere talmente povera da trovare affermazione devastando ciò che altri hanno costruito? È un triste interrogativo, che può sembrare anche banale, ma l’analisi che intendo compiere è più ampia e va oltre la vandalizzata terrazza San Francesco. L’interrogativo punta a definire i giovani di questo tempo, ossia i prossimi dirigenti di questo Paese, o anche, di questo pianeta. Quello che salta agli occhi è che questi atti, purtroppo, sono rappresentativi. Non c’è molta distanza tra chi inneggia al regime nazista stampando svastiche sui muri e chi spacca le fontane storiche. Entrambi non hanno rispetto per gli oggetti comuni che vengono percepiti come altrui. Ma se il nostro sguardo si fa meno miope assistiamo ad una percezione macro-sociale di molti ambiti che vengono percepiti come “altrui”.

Mi riferisco, ad esempio, al libero mercato. Da poco meno di un mese Trump ha messo un freno attuando un protezionismo che, pensato per molti, si è rivelato, infine, penalizzante solo per la temuta potenza cinese, la quale non ha tardato a ripagare la mossa degli USA con la stessa moneta, apponendo pesanti dazi che limitano il commercio internazionale. Un freno senza metafore alla globalizzazione, che pone muri agli scambi di natura economica. Ma si tratta di soldi, di cose, alla fine. Quindi poco importa dal punto di vista morale. Come nella terrazza sono stati distrutti oggetti e nessuno si è fatto male, se non si tiene conto della delusione di chi ha costruito e dell’affetto per un luogo simbolo che era tornato alla luce dopo decenni di deserto. Ma i chioschi si ricostruiscono, forse; così come i rapporti commerciali, se si va all’accordo, si rinsaldano. D’altronde non si tratta di amicizia, ma di affari.

La cosa si complica se si tratta di questioni di principio. Se, ad esempio, la gendarmerie compie un’invasione di campo e sfora a Bardonecchia per sottoporre ad un esame antidroga un nigeriano diretto in Italia. Ne scaturisce un caso politico. Tutti indignati per l’abuso d’ufficio (scattato a carico di ignoti, perché non si conoscono le generalità dei gendarmi). La Farnesina convoca l’ambasciatore francese, Di Maio plaude alla scelta del ministero degli esteri, Salvini rincara la dose chiamando in causa Macron. Ma in tutta questa bagarre di molte risposte ad un’unica botta, nessuno o quasi si è espresso sul nigeriano che è stato perseguito come un criminale oltre le frontiere, sottoposto ad esami antidroga ai quali è risultato negativo e che sarebbe stato trattato con modi, per così dire, poco gentili. In questo caso non si tratta di cose, ma di una persona, vera, viva, con una storia e i suoi dolori, magari anche speranze. Ma il dibattito dei vertici del Paese è tutto sullo sforamento di frontiera. Allora è questa la nuova linea di condotta mondiale? Quella retta che si traccia per ergere muri, per separare ciò che è mio da ciò che è di altri. I romani chiamavano gli “altri”: hostes, uno dei significati però, oltre a stranieri, è anche nemici, da cui deriva l’aggettivo italiano ‘ostile’. E quindi i muri sono la soluzione. Chiudiamoci dentro e saremo al sicuro. Chiudiamo fuori i cattivi, e saremo al sicuro. Ma poi qual è la differenza tra sicuri e prigionieri? L’autodeterminazione di averlo scelto, o forse no.

Strana ironia della sorte: quella che ora è la terrazza San Francesco, nel XVII secolo era uno dei punti cardine delle mura-fortezza di Marsala. Gianpiero, Davide e Peppe ne avevano fatto un balcone (quindi l’opposto) un luogo da cui affacciarsi per condividere bellezza, i vandali hanno di nuovo fatto la guerra, colpendo, spaccando, rompendo. Saranno nostalgici delle mura anche loro? Chiusi dentro al sicuro, oppure prigionieri della propria immensa ignoranza e del proprio egoismo.

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