Il peggior mercato del lavoro d’Italia

Vincenzo Figlioli

Marsala

Il peggior mercato del lavoro d’Italia

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mercoledì 12 Ottobre 2016 - 06:25

Trecentomila giovani non studiano né hanno un impiego. Il tasso d’occupazione del 39,9% è inferiore di 2 punti rispetto alla media del Mezzogiorno (42,3%) e distante anni luce dalle regioni del Centro e del Nord, mentre il tasso di disoccupazione, pari al 22,2%, è di dieci punti più alto rispetto alla media nazionale (12,3%). I nuovi contratti sono stati stipulati per impieghi considerati poco qualificati, sia tra gli uomini che tra le donne. Chi vuole rimanere trova spazio come commesso nei negozi, venditore ambulante, operatore di call center, badante o addetto alle pulizie. Contemporaneamente aumenta il ricorso alla cassa integrazione da parte delle aziende private. Sono questi i dati principali dello studio effettuato sulla Sicilia per il primo trimestre 2016 dall’Osservatorio statistico nazionale dei Consulenti del lavoro, presentato ieri a Palermo. Uno scenario drammatico, che non a caso ha portato i professionisti che lo hanno commentato a definire il mercato del lavoro in Sicilia come “il peggiore d’Italia”. Una situazione che vede i siciliani in età di lavoro snobbare le tradizionali agenzie dell’impiego e tentare la carta dei concorsi per le qualifiche alte o quella delle raccomandazioni di parenti o amici per le qualifiche medie e basse.

Risulta francamente insopportabile ragionare su questi numeri di fronte a una regione come la Sicilia, che può contare su un patrimonio storico, archeologico e naturalistico tra i più preziosi al mondo, su un territorio adatto a colture variegate che in molti casi danno frutti formidabili, su una posizione geografica invidiabile, al centro del Mediterraneo, su una tradizione enogastronomica d’eccellenza. Cosa manca dunque? Quali fattori hanno un peso così rilevante da annullare le ricchezze e le potenzialità di cui dispongono i siciliani fino a generare il “mercato del lavoro peggiore d’Italia?”. La mafia, sicuramente. Con la sua profonda capacità di controllo sui gangli vitali dell’economia e dell’agenda politica. Ma anche la classe dirigente, ostinatamente incapace di proporre un reale cambiamento nel modello culturale di riferimento. Poi ci sono i siciliani stessi: a volte vittime, a volte cause dei loro stessi mali. O vanno via o restano adattandosi al sistema. Raramente combattono per cambiare le cose, preferendo accontentarsi in privato e lamentarsi in pubblico. Di questo passo, continueranno (e continueremo) a farlo ancora per molto tempo.

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