Inside Out

redazione

Inside Out

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lunedì 05 Ottobre 2015 - 11:44

Ottimo, oggi non siamo morti! Lo considero un successo senza paragoni!”
La frase che più ho sentito riferita a questo film è stata: “non è un film per bambini!”. Onestamente non ne capisco il motivo, perché, a mio parere, sono gli unici destinatari di questo messaggio. Inside out, ultimo lavoro della Pixar, infatti, spiega l’inspiegabile funzionamento dei sentimenti base nella mente di una dodicenne. La tendenza a voler proteggere i bambini da ciò che se conosciuto, anche solo attraverso un cartone, li fortificherebbe è ciò che fa classificare questo film con la frase “non è per bambini”. Invece, quanto è liberatorio giungere all’età in cui prendi consapevolezza che non c’è niente di male ad essere tristi, che i sentimenti non sono in contenitori stagni, ma che convivono e si contaminano per dare vita a nuovi aspetti di un ricordo che sarebbe limitante se classificato “solo” come felice. Perché non c’è solo la gioia, e questo è giusto che i bambini lo sappiano. Arriva un momento, nelle vite di tutti, come in quella della nostra piccola Riley, che un avvenimento, nel suo caso un forte cambiamento come il trasloco con conseguente abbandono di ciò che credeva più caro, ti costringe a crescere. Il trasloco è un pretesto per raccontare un trauma forte ma blando allo stesso tempo, ah le combinazioni paradossali… che meraviglia! Ed inizia l’avventura di Gioia e Tristezza nella testa della nostra piccola protagonista, che in assenza delle due, sarà costretta a prendere confidenza con Disgusto, Paura e Rabbia… perché quella manipolatrice di Gioia finalmente non è lì a tenere a bada tutti gli altri beandosi nella quasi totalità delle sue biglie gialle! L’avventura vissuta dall’insopportabile Gioia e dalla fantastica Tristezza, ci accompagna in un vortice di ricordi da dimenticatoio, paure latenti, backstage onirici, amici immaginari per cui si è ormai troppo grandi, legami di base immaginati come attrazioni da luna park che ci confermano come la Pixar ha sempre saputo immaginare nuovi modi per spiegare ai bambini come essere bambini e agli adulti che la magia non è finita. Sì, perché la Pixar ha sempre strizzato l’occhio al mondo adulto, quegli adulti che erano bambini quando uscì Toy story e che si sono commossi con Toy story 3, perché se Andy è cresciuto e va via di casa, come minimo anche noi siamo belli che adulti, quegli adulti che hanno riconosciuto la genialità dell’idea di Monsters & Co. perché non si potrebbe insegnare ai bambini a non avere paura meglio di così, fino ad arrivare al capolavoro dei primi dieci minuti di Up in cui… devi devi devi devi devi piangere! E anche in Inside out non mancano gli ammiccamenti al pubblico adulto, il funzionamento del cervello femminile e maschile è una delle scene più belle e divertenti del film, e quella scena è tutta per noi, è sottile per i bambini in sala, la guardi da adulto e vedi la dedica personalizzata incisa sopra la scena… quindi, teniamoci quelle scene seminate lì per noi, torniamo bambini se ne siamo ancora capaci, ma lasciamo questo film a loro, ai bambini; noi lo sappiamo (o almeno, dovremmo saperlo) come funzionano i grovigli di sentimenti, noi abbiamo già visto ampliarsi la nostra consolle; lasciamo che sia un delizioso cartone a spiegare ai nostri figli i cambiamenti che li attendono e che, forse, spaventano più noi che loro; smettiamo di mettere cuscini ad attutire tutte le cadute e rendiamoci conto che se fosse stato un film per noi adulti anche “Lava”, il cortometraggio iniziale, sarebbe finito in un altro modo invece di completare quel processo di disincanto incantato a cui la Pixar ci ha abituati.

Daniela Casano

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