La libertà contro la paura

redazione

La libertà contro la paura

Condividi su:

giovedì 01 Dicembre 2016 - 11:05

Dopo l’articolo di presentazione del blog, seguendo la linea data al nome “Sillabario”, comincio con la prima lettera scelta per raccontare, dal mio punto di vista, i tempi che viviamo. Un racconto che intende mettere insieme ciò che accade nel nostro microcosmo e porlo in relazione con gli accadimenti del Paese e del mondo intero. Se è vero che si può parlare soltanto di ciò che si conosce, come diceva Hemingway, è parimenti indubbio che nell’era della globalizzazione ogni evento che si verifica a Milano o a Roma ha delle ripercussioni, dirette o mediate, anche nella nostra città. E se s’intende capire la nostra epoca, ben è possibile, e anzi è opportuno, adottare una chiave di lettura glocal, che cioè analizzi le vicende che ci stanno vicino per inquadrarle in uno schema più ampio.

La prima lettera è “ L” come libertà. La più bella definizione di tale parola che affascina e fa tremare i polsi è del filosofo Baruch Spinoza, secondo cui la libertà è quella cosa che ci determina ad agire di per se stessa, cioè senza coinvolgimenti esterni. E proprio per questo il filosofo olandese della libertà, come viene anche chiamato, ha detto : gli uomini si ritengono liberi, dato che sono consci delle proprie volizioni e del proprio appetito; mentre le cause, da cui sono disposti ad appetire e a volere, poiché ne sono ignari, non se le sognano nemmeno” .

Ciò detto, in quello spazio possibile della libertà che ci è consentito attuare, il nostro Paese vive giorni in cui il dibattito, occupato quasi esclusivamente dal referendum costituzionale che ci porterà al voto il 4 dicembre, è contraddistinto da timori e paure indotte dalla propaganda mediatica. E questo clima da caccia alle streghe, tra derive complottiste e baratri esistenziali annunciati, non aiuta di certo gli italiani a scegliere se approvare, o rispedire al mittente, la tanto invocata riforma costituzionale sulla quale dovranno esprimersi domenica prossima. Cercherò di schiarire le acque del giudizio, fin qui intorpidite da calcoli strumentali ad un fine che non si vuole svelare.

Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha legato le sorti del suo governo alle riforme della legge elettorale e della Costituzione. E tale atteggiamento è di per se stesso, alquanto inquietante, atteso che le regole dell’agone democratico dovrebbero rappresentare un campo condiviso e non essere fonte di spaccature e divisioni. Non è pleonastico ricordare l’alto monito del giurista Piero Calamandrei, secondo cui “i banchi del Governo devono essere vuoti quando il Parlamento discute della Costituzione”. Nella situazione attuale è avvenuto l’esatto contrario, ma questo non è che l’antipasto dell’indigesta pietanza che si vuole propinare agli elettori con la riforma costituzionale.

La legge elettorale approvata per l’elezione della Camera dei Deputati, denominata “Italicum”, già sotto scacco dell’imminente giudizio di legittimità costituzionale, salutata al suo varo come la legge che il mondo ci avrebbe invidiato, è già stata abbandonata dal suo sponsor principale – Renzi – che ha assicurato, prima ancora della sua applicazione concreta, modificata. Il disegno originario del Governo era di collegare, in quel brutto termine giuridico ormai divenuto di uso comune che è il combinato disposto, la legge elettorale con la riforma costituzionale, e a riprova di tale intento tale legge vale soltanto per l’elezione della Camera.

Il Senato della Repubblica, infatti, è destinato, nel confuso progetto governativo, a essere modificato profondamente, tanto che i senatori, se vincesse il Si, saranno eletti dai Consigli Regionali in una elezione di secondo grado. I senatori eletti dalle Regioni saranno 95 e 5 quelli nominati dal Presidente della Repubblica. Di questi 95, 74 saranno eletti tra i consiglieri regionali e 21 tra i sindaci. Non è affatto chiaro come si sceglieranno tali componenti, né con quali criteri saranno scelti i Sindaci – che rappresentano soltanto una città – né come comporrà il primo Senato, visto che tale organo costituzionale sarà rinnovato parzialmente con le scadenze previste per ogni regione. Alcuni autorevoli giuristi hanno sostenuto che non possono che essere nominati dai consiglieri regionali vigenti, con buona pace della tardiva rassicurazione di Renzi sull’elezione dei senatori da parte dei cittadini. A meno che, contrariamente a quanto temuto dal Governo in carica( se vince il No si andrà ad elezioni anticipate), non si vada a nuove elezioni proprio con la vittoria del Si e l’approvazione di una nuova legge elettorale per il Senato. Tale è ad esempio, l’opinione del costituzionalista Ainis.

Sono talmente tante le contraddizioni di sistema della nuova riforma e i contrasti applicativi cui darà vita, che vi è solo l’imbarazzo della scelta. Analizzerò qui quelle che mi sembrano le più vistose e preoccupanti:

a) la ratio della riforma, che come detto da molti intellettuali come Lucio Canfora e giuristi come Roberto Scarpinato, cela un intento plebiscitario dell’attuale premier, è una contraddizione in termini. Infatti, da un lato intende pomposamente esaltare le autonomie locali, cui il nuovo Senato dovrebbe dare voce, mentre, al contrario, con la riforma dell’art.117 dell’attuale Costituzione, si mortificano le loro competenze in un disegno centralista di accorpamento dei poteri nel Governo. Governo che, peraltro, sarà eletto da una minoranza degli elettori;

b) la riforma, inspiegabilmente, non riguarderà, sotto il profilo della ripartizione dei poteri tra Stato e Regioni, quelle a Statuto Speciale, come la nostra Sicilia. Inoltre, i consiglieri regionali di tali regioni non potranno ricoprire anche la carica di parlamentare se prima non verranno modificati i loro rispettivi Statuti. Sui criteri di ripartizione dei seggi, vi è un’altra stridente iniquità. Infatti, un cittadino della Valle D’Aosta varrà, in termini di voto, quanto 10 cittadini veneti e siciliani e non è chiaro perché le province autonome di Trento e Bolzano avranno due senatori, mentre altre intere regioni ne avranno un uguale numero. Né è chiaro perché non faranno parte del nuovo Senato i Presidenti delle regioni. Né ancora perché senatori potranno avere anche 18 anni mentre i deputati almeno 25.

c) la riforma è stata salutata da Renzi come una diminuzione dei costi della politica e dei parlamentari. Dopo essere stato smentito sul tema dei costi da Napolitano, altro grande padre di questa sgangherata riforma, il nostro Primo Ministro ha preferito ripiegare sulla paura del baratro. E’ stato detto di tutto e di più: con la vittoria del No il Paese andrà alla deriva, ci sarà un governo tecnico, falliranno molte banche italiane, i malati dovranno spendere di più per curarsi, si andrà necessariamente a elezioni anticipate, aumenterà lo spread, i mercati crolleranno, i tassi di interesse, cui i mutui sono collegati, saliranno alle stelle e ci sarà un nuovo effetto italico pari alla Brexit anglosassone e a quello Trump statunitense. Inoltre, il Paese tornerà indietro di trenta anni Sono, ovviamente, tutte balle colossali che hanno il solo scopo di terrorizzare gli elettori. Come si può agevolmente vedere, l’economia inglese va a gonfie vele e i mercati USA sono in netto rialzo. Del resto, lo stesso Obama ha dichiarato che, nonostante l’elezione di Donald Trump il sole continuerà a sorgere ancora, e così avverrà anche in caso della vittoria del No alla riforma costituzionale. Infine è bene ribadire che chi è contro questa riforma – a partire dai maggiori esperti di diritto costituzionale e degli ex Presidenti della Corte Costituzionale – non può essere tacciato di essere conservatore e di ritenere intoccabile la Carta fondamentale del nostro Paese. Dire No a questa riforma non implica negare una riforma equilibrata che veda la concorde volontà di tutte le forze politiche, così come avvenne, con figure politiche e intellettuali di primo piano come Terracini, Croce, Calamandrei, solo per citarne alcuni, nell’ambito dell’Assemblea Costituente eletta il 2 giugno del 1946 che diede vita alla Costituzione promulgata il 27 dicembre del 1947.

d) È stato detto che con la vittoria del Si non ci sarà più bicameralismo paritario e si eviterà il ping pong tra le due Camere per l’approvazione di una legge. Le leggi saranno di più e saranno approvate in tempi più brevi. Ciò è un altro punto di apparente forza della riforma. Soltanto che vi è un vizio di fondo. L’Italia ha fin troppe leggi – per produzione legislativa siamo ai primi posti nel mondo – semmai sono confuse, contradditorie e scritte male, proprio come la riforma Boschi- Renzi. Inoltre, le due Camere rimarranno e il Senato, non più eletto a suffragio universale( ma si vergognano a dirlo) avrà molte competenze specifiche e potrà esaminare ogni testo di legge licenziato dalla Camera dei Deputati. Con l’aggravante che tutta l’impalcatura del Senato, dal punto di vista burocratico e organizzativo, rimarrà invariata e che i nuovi senatori godranno delle guarentigie previste dall’attuale art. 68 della Costituzione, quelle che sono chiamate, anche se impropriamente, immunità. Non potranno, cioè, essere né intercettati né arrestati, per dirla con parole comprensibili a tutti. Non male per una classe politica che, specie negli ultimi anni, ha visto più di cento inquisiti, e molti condannati per varie ruberie.

La trattazione potrebbe continuare a lungo, ma diventerebbe noiosa più di quanto non possa già esserlo. Voglio solo porvi una domanda: perché mai Renzi gioca tutta la sua carriera politica su questa riforma che, come si evince dai sondaggi, secondo gli italiani non affronta i problemi più urgenti del Paese? Le risposte potrebbero essere tante, ma una è particolarmente illuminante ed è stata fornita in una recente intervista dal magistrato e scrittore Roberto Scarpinato: in data 5 agosto 2011, il Presidente della Bce inviò al Presidente del Consiglio dei Ministri italiano, dettandogli un’analitica agenda politica delle riforme che il governo e il Parlamento italiano dovevano approvare, specificando anche i tempi e gli strumenti legislativi da adottare. Dalla riforma della legislazione sul lavoro, alla riforma della contrattazione collettiva, alla riforma delle pensioni sino alle privatizzazioni e alla riforma della Costituzione.

Liberiamo la nostra libertà contro la paura indotta dai disegni economico-finanziari e votiamo secondo ciò che ci suggerisce la nostra coscienza di elettori adulti e vaccinati contro le altrui manipolazioni del consenso democratico. Non abbiate paura, care lettrici e cari lettori, di essere artefici del vostro destino e di quello dei vostri figli e di votare No al prossimo referendum costituzionale per debellare tutte le manipolazioni e le mistificazioni di cui siamo ancora incolpevoli destinatari.

Liberi di decidere senza la paura di disastri annunciati e inesistenti.

Fabio D’Anna

Condividi su: