Lettera a Roberto Vecchioni

Vincenzo Figlioli

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Lettera a Roberto Vecchioni

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sabato 05 Dicembre 2015 - 12:56

Caro prof,

la Sicilia non è “un’isola di merda“. E’ storia, bellezza, natura, cultura. E tu lo sai meglio di noi.

Non starò qui a scrivere che avresti potuto usare un’espressione diversa per lo stesso concetto. Perché comprendo benissimo con quale spirito hai voluto inserire questa frase che oggi tutti contestano in un ragionamento molto più articolato. Hai voluto lanciare una provocazione davanti a una platea di giovani studenti che dovrebbero essere i primi a concordare con te. Perché è impossibile amare questa terra senza desiderare ardentemente di cambiarla, di cacciare a calci nel sedere quelli che nel tempo l’hanno consegnata al potere mafioso, ai corrotti, ai cattivi amministratori, alle clientele, ai raccomandati, agli abusivi, a quelli che utilizzano anche la più piccola posizione di potere per mettersi di traverso di fronte a qualsiasi novità.

E’ da ipocriti sbandierare ai quattro venti ogni giorno l’amore per i nostri tramonti, la nostra cucina, i parchi naturalistici, le zone archeologiche, il mare cristallino, i palazzi barocchi e, contestualmente, accettare senza battere ciglio le condizioni in cui viviamo. Perché se nonostante il patrimonio storico, naturalistico, artistico e culturale che abbiamo siamo agli ultimi posti in tutte le classifiche sulla qualità della vita e i nostri giovani continuano a fare fagotto per andare ad arricchire con le loro intelligenze e i loro talenti le regioni del Nord o altri Paesi, è evidente che siamo di fronte a una contraddizione che meriterebbe un sincero e profondo mea culpa da parte delle classi dirigenti che hanno guidato la Sicilia dal Dopoguerra ai nostri giorni.

Non abbiamo bisogno di politici che oggi difendano in maniera stucchevole questa terra, citando Goethe (“L’Italia senza la Sicilia non lascia immagine alcuna nello spirito. Qui è la chiave di tutto”), quando in realtà l’unica citazione pertinente, in queste ore sarebbe quella del Gattopardo  (“i Siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti: la loro vanità è più forte della loro miseria; ogni intromissione di estranei sia per origine sia anche, se si tratti di Siciliani, per indipendenza di spirito, sconvolge il loro vaneggiare di raggiunta compiutezza, rischia di turbare la loro compiaciuta attesa del nulla; calpestati da una decina di popoli differenti essi credono di avere un passato imperiale che dà loro diritto a funerali sontuosi”).  Abbiamo bisogno di politici che si sbraccino seriamente per cambiare le cose. Abbiamo bisogno di una rivoluzione vera, di governanti che sappiano utilizzare le opportunità offerte dai fondi europei per modernizzare le nostre strade, i collegamenti tra le città, investire sull’ambiente, sulla cultura, sulla sostenibilità ambientale, valorizzando il patrimonio che abbiamo e sostenendo le intelligenze i talenti e che sono rimasti qui e creando contestualmente le condizioni per far tornare chi è andato altrove. E, naturalmente, avremmo bisogno di uno scatto d’orgoglio per uscire, tutti noi siciliani, dal nostro becero individualismo e da quelle logiche del passato che hanno nutrito e ingrassato queste classi dirigenti. Uno scatto d’orgoglio che nella maggior parte dei casi non c’è stato, probabilmente per quell’appuntamento mancato con l’illuminismo che ancora scontiamo e che Leonardo Sciascia ha più volte sottolineato nei suoi lucidissimi scritti sulla Sicilia.

E’ pur vero, caro prof, che la classe dirigente delle tue zone ha tante colpe rispetto al Sud: ne ha saccheggiato le ricchezze, ha trattato il territorio meridionale come una discarica e ne ha sostenuto le classi dirigenti criminali, utilizzando la Sicilia come un serbatoio di voti di cui poter disporre a proprio piacimento. Un po’ come quei mariti che in pubblico parlano di rigore morale e buon costume e la sera vanno a puttane.

Ma siccome il destino spesso è più beffardo di quel che crediamo, caro prof, mafia e corruzione le avete anche voi al Nord. E noi che per anni, pur innamorati della nostra terra, abbiamo invidiato il vostro efficientismo, ora ci ritroviamo a leggere degli arresti per gli appalti dell’Expo, di presidenti della Regione che utilizzano i soldi pubblici per comprarsi le mutande verdi o di liste elettorali compilate senza alcun criterio meritocratico.

So bene che sai anche questo, prof. E nei hai parlato pubblicamente tante volte.

Ma c’è ancora una cosa su cui forse dovresti riflettere: il più grande delitto che hanno commesso le classi dirigenti del Nord è quello di non avere sostenuto adeguatamente quei siciliani che hanno provato davvero a cambiare le cose: alcuni di loro – i più noti – sono stati uccisi, tanti altri si sono arresi dopo aver mangiato pane e delusioni per troppo tempo.

Ecco, se dovessi averne la possibilità, caro prof, sarebbe bello se al prossimo incontro con gli studenti, a Milano, Torino o Verona, dicessi anche questo. E che magari provassi anche a spargere ulteriormente la voce. Sarebbe un modo di far sentire meno soli quanti ogni giorno vivono qui in Sicilia, destinando ogni piccola riserva delle proprie energie a rendere quest’isola bella come meriterebbe. Te lo assicuro, sono molti di più di quanto immagini.

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