L’urlo, dal mare alla terra

redazione

L’urlo, dal mare alla terra

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martedì 12 Gennaio 2016 - 16:14

Quest’articolo nasce da una passeggiata al lungomare Biscione, lì mi sono trovata di fronte una delle tante installazioni che arricchiscono e abbelliscono il mio paese d’origine (Petrosino), un megafono. Esso rappresenta l’Urlo della terra « Il megafono finora negato ad una Sicilia che ha, invece, tante cose da dire al Mondo. Per far sentire la voce nascosta di questa terra, sopraffatta dal rumore assordante della prepotenza. È un urlo di gioia, riscatto e speranze», queste le parole del sindaco Giacalone. Di certo non si può negare che sia un’interpretazione veritiera e speranzosa, ma mi chiedo se non sia il caso di ascoltarle queste voci disperate anziché urlarle, se non sia il caso di porsi delle domande anzichè darsi delle risposte. Non nascondo che mi sarebbe piaciuto vedere il megafono che dal mare risuonasse sulla terra, la nostra terra, perchè svegli le coscienze che sono sempre più assopite in queste società. Mi piace pensare quest’opera come un urlo che scuota gli animi, che faccia pensare a quello che succede giorno dopo giorno solo a qualche miglio di distanza dalle nostre coste. Sono le voci di chi è partito nella speranza di un futuro, di chi tra la vita e la morte ha scelto la possibilità di vita e la consapevolezza del rischio della morte, di chi ha lasciato tutto per fuggire, di chi si è indebitato, di chi ha visto i propri cari morire, di chi ha viaggiato per mesi, di chi è stato prigioniero, di chi è stato violentato, abusato, di chi proprio su queste coste ha riposto sogni troppo spesso infranti, di chi ha visto violato e negato il proprio diritto alla vita. La Sicilia è il confine che delimita, e al tempo stesso interfaccia per primo, l’immigrazione e sempre l’ha fatto, riuscendo a cogliere per millenni la ricchezza di questi attraversamenti storici e sociali. La sua storia multiculturale è la cultura del luogo, lo è stato per millenni, prima che l’immigrazione diventasse un problema. Alexander Langer diceva che i confini, quando non possiamo abolirli, dobbiamo almeno cercare di renderli il più possibile permeabili, ma al contrario sta prevalendo la tendenza a inventarne sempre di nuovi, spesso arbitrari e ancora più spesso discutibili, intorno a nuove identità che ne risultano cementate, e quindi sempre più facili da contrapporre ad altre, oggi più che mai. Da qui nasce il mio invito, giriamo il megafono affinchè l’urlo di disperazione e di speranza rimbombi nelle nostre teste e nelle nostre case, rendendoci più sensibili ai fatti dell’umanità stessa, che ci coinvolgono tutti. Un ringraziamento particolare va all’artista Peppe Zummo, senza cui quest’invito non sarebbe mai nato.

«Sugnu sempre alla finistra e viru a ranni civiltà c’ha statu unni: Turchi, Ebrei e Cristiani, si stringeuno la manu, tannu si pinsava ca “La diversità è ricchezza” ai tempi di biddizza e di puisia d’amuri e di saggezza. Zoccu ha statu aeri, oggi forsi ca putissi riturnare si truvamu semi boni di chiantari». (‘A Finestra, Carmen Consoli).

Ivana Abrignani

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