Memoria e poesia in pittura

Claudia Marchetti

Memoria e poesia in pittura

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mercoledì 02 Settembre 2015 - 15:52

Le radici della pittura stanno nel disegno. Può essere un luogo comune o, con l’attuale relativismo a buon mercato e la supremazia del virtuale sul reale, un presupposto da dimenticare. Eppure così sembra sussurrarci Franco Sarnari con l’antologica promossa, con solita competenza e serietà, dall’Ente Mostra di Pittura Contemporanea, ospitata al Convento del Carmine di Marsala.
Invero, una resa pittorica così puntigliosamente consistente sarebbe stata possibile senza l’ossatura del disegno?
Trovandosi davanti a una pittura che cresce con tecniche proprie al fare pittura, che si arricchisce perfezionandosi grazie all’apertura di nuovi cicli e tematiche che spaziano dall’individuale al sociale al naturale, il visitatore avverte che non c’è cambio di scena, nè di immagini, senza rinnovate emozioni. Non manca un valore aggiunto: la volontà costante di dialogo con i maestri che fecero della pittura la “regina dei saperi”.
Personalizzando quegli insegnamenti con variazioni a sorpresa, il mutamento di forme e presenze ottenuto coincide con l’obiettivo di attualizzare quelle esperienze, e renderle ancora degne di studio. Anzi, a conferma della peculiare vocazione sociale di quest’arte, quanto più è sentito e sollecitato il rapporto con le punte più avanzate della pittura europea tanto più scopre se stesso consapevole di una sua irrinunciabile ricerca a tutto campo.
Ma, poi, non è l’arte in generale fucina di relazioni, scambi e influenze? Sciascia, in letteratura, reinventa il “Candido” di Voltaire con arguzie e ironie inconfondibili, così prossime al vero.
Il nesso dinamico tra antico e moderno si manifesta già nelle opere giovanili: vale per tutte “La sedia rotta ” dipinto del 1958, le cui pennellate nervose, impetuose, avvolte in una atmosfera cupa tipica di quel tempo di rovine, si accomunano alla forza manuale e al disagio esistenziale dell’autodidatta di Arles. Negli anni in cui fermentano dal basso domande di cambiamento anche qualitativo delle società, Sarnari non si sottrae al bisogno di denunciare aspetti volgarmente mercantili, quanto superflui, imposti dagli apparati. La risposta, dall’alto, fu un aumento di autorità a danno della responsabilità, mentre il potere, quando non è visibile come continua ad essere, mostra l’insita ambiguità. Sospeso tra calcolo ingannevole e arido cinismo il volto di un ex potente impatta contro la mirabile gioia di vivere espresso dal volto della Monroe.
Dopo la multiforme stagione delle utopie, una sensibilità pittorica più introversa delinea, con sottili vibrazioni ed armonie inaspettate, la mappa di un nuovo corso: i “Frammenti”. Una sua originale idea di scomposizione anatomica impreziosita da tenuità di colori e di volumi, sorretta da una levità manuale che, padroneggiando la materia, costruisce un rigore compositivo che nulla ha di gratuito.
L’ausilio di una luce rarefatta, non naturale, proiettata da dentro di sè, capace di lumeggiare zone d’ombra, invita alla contemplazione.
Vero è che si accumula molta tecnica ma, per capirci, difficilmente si abbandona a un tecnicismo per addetti ai lavori. Basti osservare un “Frammento” del 1977 che, per antitesi, richiama alla memoria “L’origine del mondo” di Courbet, dove l’inesausta sapienza pittorica si dona a una visione pura, eterea, libera da rozze distorsioni.
Un sogno ad occhi aperti, un incanto esente da vaniloquio, soave come un haiku.
Un tutt’uno di pittura colta e pittura sensitiva.

Peppe Sciabica

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