No alla violenza, ma facciamo un altro passo

Claudia Marchetti

Apertura

No alla violenza, ma facciamo un altro passo

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sabato 25 Novembre 2017 - 07:30

Secondo l’Eures, sono 114 le donne vittime di omicidio volontario in Italia, nei 10 mesi del 2017. Chiara, Federica, Sara, Daniela, Viola, Francesca, potrebbero essere nomi di fantasia o le vostre vicine di casa oppure amiche, che nascondono un livido con il fondotinta e una storia fatta di molestie e pressioni psicologiche all’interno delle mura domestiche. Perché oltre il 76% dei casi, avviene tra gli affetti, quelli che dovrebbero proteggere e tutelare. Al Centro Nord i casi di femminicidio sono più frequenti che al Sud. Lo stile di vita è differente ma ciò non vuol dire che nel Meridione non ci sia una madre, figlia o sorella che non venga vessata o picchiata. Anzi, probabilmente da questa parte d’Italia, la società patriarcale è ancora molto forte per far ribellare una donna, per denunciare. Negli ultimi anni si è dato un nome al fenomeno, femminicidio per l’appunto, e tanti sono i centri antiviolenza che si occupano e preoccupano di accogliere donne che subiscono violenze.

Taluni, come “La Casa di Venere” di Marsala, le rifugiano anche, tenendole lontani da tutto l’ambiente che le aveva circondate e oppresse. Perché accade spesso che chi sa, all’interno di un determinato contesto familiare, non solo tace, ma è complice. Così si mette in moto una catena che si tramanda da padre in figlio, da madre in figlia; carnefici da un lato, vittime dall’altro. Bisogna spezzare questa catena, rompere gli anelli. Lo si può fare partendo da un’adeguata educazione, dall’inculcare agli studenti delle scuole una mentalità nuova, iniziando a rispondere correttamente alle proprie compagne. Le parole, oltre ai fatti, sono molto importanti. Ma chiedo ai centri antiviolenza non solo di focalizzarsi sulla violenza di genere in sé. Oggi siamo pronti per fare un passo successivo.

Questo mese la cronaca ci ha dato impasto donne che denunciano in televisione molestie subite molti anni prima. Alcune vicende sono vere, altre sono nate per mera visibilità. Ma tra qualche tempo quando cose così passeranno di moda, quello che resta è un capro espiatorio a cui dare tutte le colpe, che pagherà un prezzo molto alto e senza una sentenza di condanna. Ecco, dico alle operatrici del settore anche di parlare alle ragazze, alle donne di come ci si deve comportare, che non ci si deve vendere per una sfilata o per un film di serie B. Devono dire ad una ragazzina che vende la propria verginità fior di milioni sul web che non solo quello che ha fatto non è corretto, ma che viola anche la legge. Se condanniamo la prostituzione dobbiamo condannare pure atti del genere, dietro compenso, che umiliano la donna in quanto tale. Esistono anche delle realtà che si occupano dell’uomo che compie violenze. A loro voglio dire di iniziare dal ragazzino sin da piccolo, di iniziare dalle scuole dell’infanzia e della primaria. Dopo è troppo tardi.

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