Patrimonio dell’Umanità: istruzioni per l’uso

Claudia Marchetti

Patrimonio dell’Umanità: istruzioni per l’uso

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lunedì 08 Giugno 2015 - 12:33

La verità è nel fondo di un pozzo: lei guarda in un pozzo e vede il sole o la luna; ma se si butta giù, non c’è più né sole né luna, c’è la verità. La frase di Leonardo Sciascia sembra tagliata e cucita addosso al nostro territorio (con le sue risorse, uniche al mondo) ed a quanto si può progettare per farlo “volare alto”. Fra tutte le idee, diffuse anche in questa campagna elettorale, emerge per importanza quella di ottenere finalmente la tutela dell’UNESCO su Mozia e Lilybeo. Ne abbiamo parlato con chi, circa tredici anni fa, questa idea lanciò per primo: Diego Maggio, marsalese e presidente dei . “Mozia e Lilybeo – ci dice – rappresentano un ‘unicum’ storico-artistico che ha avuto rilevante influenza per lungo tempo e costituiscono un esempio eccezionale di più civiltà che qui hanno convissuto e che ci hanno tramandato la sommatoria delle rispettive culture”. Solo qui infatti possono rinvenirsi, tutte insieme, le prove della più antica e consistente tradizione vitivinicola e di un incrocio unico fra la civiltà fenicia e quella imperiale romana. “Siamo unici non solo per le magnifiche saline (di cui sarebbe bene scoprire anche le virtù termali) e per la prospiciente Laguna dei Fenici – prosegue l’avv. Maggio – ma anche perché tutto questo è circondato da generazioni di esemplari della pianta più bella e più utile del mondo: la vite, che ha dato la vita ai numerosi popoli che qui hanno abitato e che hanno lasciato mirabili testimonianze della rispettiva civiltà”. Il Trattato internazionale adottato a Parigi dalla Conferenza Generale dell’UNESCO il 16 novembre del 1972 fu il primo strumento giuridico transnazionale per garantire l’identificazione, la conservazione, la conoscenza e la trasmissione alle future generazioni del patrimonio culturale e naturale di valore universale eccezionale. Lo Stato italiano, con la Legge n. 184 del 6 aprile 1977, ratificò poi la predetta Convenzione-madre. L’evoluzione del diritto portò successivamente a regolamentare le attività di tutela e valorizzazione del paesaggio, stabilendo l’obbligo di compatibilità dello sviluppo urbanistico-edilizio con i valori paesaggistici riconosciuti del territorio. E di esempi da seguire, in tal senso, ce ne sono di recentissimi. Nel giugno 2014, a conquistare la targhetta UNESCO nella lista dei beni naturali materiali sono stati i “Paesaggi vitivinicoli del Piemonte: Langhe-Roero e Monferrato” Fattore determinante per il successo di quella candidatura è stato l’aver preventivamente dimostrato l’esistenza di un efficace sistema di protezione garantito dalla presenza di diversi vincoli di tutela e potenziato da una serie di norme integrative, appositamente predisposte per la conservazione dei caratteri peculiari del paesaggio, assunte dai Comuni quali varianti ai propri strumenti urbanistici. Diego Maggio avverte, quindi, che “Se adesso si riuscisse a riattivare il procedimento rimasto da anni nei cassetti del Comune, bisognerebbe avere fin d’ora consapevolezza del fatto che si dovrà poi consolidare l’eventuale conquista con il saper mettere in pratica ciò che si è ideato e proposto: chi non saprà gestire o lo farà confusamente, potrà vedersi revocare il più strabiliante dei riconoscimenti”. Se vogliamo davvero che Mozia e Lylibeo vengano ricompresi fra i beni del World Heritage, dobbiamo ricominciare a mettere in campo iniziative idonee che producano effettivamente la crescita socio-economica e una migliore qualità della vita della nostra comunità. Tutto ciò va tradotto in attività di comunicazione, di ricerca e di coraggio amministrativo: coinvolgendo necessariamente tutti i soggetti locali nella ipotesi di gestione ottimale dei nostri luoghi. La richiesta di iscrizione nella Lista del Patrimonio Mondiale deve, cioè, essere accompagnata da un Piano di gestione, credibile e dettagliato nella descrizione delle modalità con cui l’eccezionale valore del sito sarà tutelato. Perciò deve tener conto delle differenze tipologiche, delle caratteristiche e delle necessità di questi nostri siti, nonché del contesto culturale e naturale. Se già vigesse il Piano Regolatore delle campagne di questa Città del vino [altrettanto proposto da Diego Maggio e descritto nel mio precedente articolo su Marsala c’è del 22 maggio scorso – N.D.A.], dovrebbe collegarsi ad esso; ma intanto dovrà rispettare i vincoli urbanistici esistenti ed anzi renderli più restrittivi. Niente più cemento, insomma. E tanto restauro, invece: anche degli antichi vigneti (come fanno in Toscana, come faranno a Pantelleria). “ I luoghi di questo bacino d’occidente siciliano – continua con fervore Diego Maggio – presentano specifici caratteri naturali, antropici e percettivi che tutti rappresentano i molteplici luoghi e aspetti della nostra millenaria cultura del vino. Marsala – questa nostra città/territorio, con le sue cento contrade vissute da uomini e vigne – costituisce un esempio eccezionale di un paesaggio culturale, inteso come prodotto nel tempo dell’interazione tra uomo e natura, plasmato dalla continuità di una tradizione antica finalizzata ad una produzione vinicola di eccellenza mondiale.”. Innanzitutto i vigneti modellati sulla fascia costiera e nei feudi collinari testimoniano l’indissolubile legame tra le coltivazioni, molte delle quali autoctone, le peculiari condizioni pedo-climatiche e le tecniche di coltivazione e vinificazione. Accanto ad essi, un complesso di luoghi di lavorazione e conservazione delle nostre produzioni (bagli, aziende secolari, cantine sociali, enoteche) oltre al nostro centro storico, alle nostre popolose borgate, ai nostri (perfettibili) musei ed altre istituzioni culturali legate alla tradizione del vino. “All’UNESCO dovremo – conclude motivatamente l’avv. Maggio – aprire lo scrigno che racchiude tutti i tesori di questa concentrata unicità: i secolari ceppi del vigneto moziese, la Nave Punica, le migliaia di ettari vitati nei feudi, il Giovinetto di Mozia, gli straordinari stabilimenti vinicoli, la Venere Callipigia, i mosaici dell’insula romana, il Decumano Maximo, il còthon e cappiddàzzu, la grotta della Sibilla, o il battistero paleo-cristiano di San Giovanni, Crispia Salvia, i fondali dello Stagnone con i tesori ancora da esplorare. Infatti in nessun altro posto al mondo c’è una tale densità di risorse colturali, naturali e culturali come in questa punta di occidente siciliano”. Forse a qualcuno ha fatto comodo che questa inestimabile cassaforte di alta archeologia e di grande civiltà della vite e del vino sia finora rimasta chiusa. E i marsalesi che hanno votato per non marsalesi si sono resi complici di questo “sottosviluppo pilotato”. In tal senso – a ben considerare le cose – estendere il progetto all’area vasta delle saline, dallo Stagnone a Nubia, servirebbe soltanto a portare sempre … il sale a Trapani!

[ Maria Grazia Sessa ]

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