Per non dimenticare Giulio Regeni

Vincenzo Figlioli

Apertura

Per non dimenticare Giulio Regeni

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giovedì 11 Febbraio 2016 - 06:25

Non è facile scrivere di Giulio Regeni. Proprio per questo ci siamo presi qualche giorno di tempo, sperando di capire qualcosa in più. O magari sognando di svegliarci per accorgerci che la notizia della morte di questo 28enne ricercatore universitario e reporter free lance non sia mai esistita. E invece no. Gli articoli dei quotidiani nazionali con la minuziosa descrizione delle sevizie che il nostro giovane connazionale ha dovuto subire sono ancora lì. E ad ogni lettura appaiono più atroci. Chiaramente, non siamo nelle condizioni di aggiungere informazioni o ventilare ipotesi. Tuttavia, ci sentiamo di lanciare un appello a non dimenticare Giulio Regeni, la sua storia, l’esempio di un ragazzo che ha riempito il suo trolley dei ferri del mestiere e di tanta sana curiosità per andare in Egitto, con l’idea di farci capire un po’ di più quello che succede da quelle parti. Nonostante una consistente fetta dell’opinione pubblica e dei media abbia cercato di screditarli, ci sono stati tanti giovani giornalisti, fotoreporter, cooperatori che hanno continuato a recarsi in Medio Oriente o nei principali teatri di guerra per opere di volontariato o per restituire un’informazione indipendente alle nostre democrazie rispetto a quei luoghi. Alcuni di loro hanno pagato con la vita questo coraggio: Enzo Baldoni, Fabio Polenghi, Vittorio Arrigoni. E prima di loro, Almerico Grilz, Marco Luchetta, Alessandro Ota, Dario D’Angelo  Ilaria Alpi, Miran Hrovatin, Marcello Palmisano, Antonio Russo, Raffaele Ciriello e Maria Grazia Cutuli. Altri, come Giuliana Sgrena, Simona Pari, Simona Torretta, Greta Ramelli e Vanessa Marzullo hanno rischiato di fare la stessa fine. In tanti salotti borghesi, si fa fatica a capire perché un giovane di belle speranze possa decidere di rischiare di essere sequestrato, torturato e ucciso soltanto per inseguire un’utopistica idea di libera informazione e verità. Qualcuno a bassa voce, qualcun altro con ostentata sicurezza, magari avrà già detto che “se l’è andata a cercare”. Seguendo lo stesso ragionamento, qui in Sicilia non si sarebbe mai dovuto parlare di mafia per non fare la fine di Mario Francese, Pippo Fava, Beppe Alfano o Mauro Rostagno. Se qualcosa in questa terra è cambiato, lo dobbiamo non solo a chi ha perso la vita per sfidare i clan, ma anche a chi dopo di loro ha continuato, andando a scrivere altre formidabili pagine di giornalismo. Proprio per questo, chi guida questo Paese ha il dovere di fare molto di più per tutelare con maggiore decisione non solo la memoria di uomini come Guido Regeni, ma anche il lavoro che tanti altri continuano a fare nell’ombra, spesso sentendosi più soli di quanto meriterebbero.

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