Processo “Eden”, continua la requisitoria dei pubblici ministeri

Chiara Putaggio

Processo “Eden”, continua la requisitoria dei pubblici ministeri

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martedì 03 Marzo 2015 - 20:33

“C’erano contrasti interni a Cosa nostra per la ripartizione degli utili della Bf”

“Sentenze irrevocabili dimostrano l’esistenza di Cosa nostra – ha detto il pm della Dda Carlo Marzella (presente anche Paolo Guido) all’inizio della seconda udienza dedicata alla requisitoria del processo scaturito dall’operazione antimafia Eden –. Ha una struttura gerarchica con la suddivisione di ruoli ben precisi tra sodali. Un ruolo fondamentale è quello della famiglia mafiosa di Trapani, legata a quella di Palermo. Si è passati da una Cosa nostra quasi agropastorale ad un’articolazione che ha dimostrato capacità di penetrazione in diversi settori: energie rinnovabili, come per la vicenda del parco eolico Vento divino e centri di ristorazione, come la costruzione di McDonald a Castelvetrano. Al vertice dell’organizzazione c’é Matteo Messina Denaro, latitante dal 1993, fratello di Patrizia e zio di Francesco”. Si tratta infatti della requisitoria del processo presieduto dal giudice Gioacchino Natoli (a latere i giudici Giacalone e Fiorella) che vede imputati: Anna Patrizia Messina Denaro, sorella di Matteo, ritenuto il capo di Cosa Nostra, Francesco Guttadauro, nipote del superlatitante e Antonino Lo Sciuto, ai quali è contestato il reato di associazione mafiosa, Vincenzo Torino, accusato di intestazione fittizia di beni e Girolama La Cascia, ritenuta parte lesa, ma accusata di false dichiarazioni al pm. “Le intercettazioni sono prova fondamentale.– ha detto il pm – ed emergono due dati fondamentali: la Bf e la Mg sono state utilizzate per consentire la crescita della famiglia mafiosa di Castelvetrano, questo grazie al legame di parentela con i Messina Denaro. Lorenzo Cimarosa ad un certo punto ha anche dichiarato che lavoravano solo le imprese che decidevano i Messina Denaro. Le aziende erano asservite alla famiglia mafiosa. Diverse fonti di prova lo dimostrano – aggiunge Marzella -, finalizzate a mantenere la latitanza, ultraventennale di Matteo Messina denaro. Emerge che il vincolo mafioso prevale sul vincolo parentale. Ma ci sono state discussioni legate alla mancata equa ripartizione degli utili tra tutti i consociati. Il colonnello Tibollo ci ha detto che Giovanni Filardo era tra gli imprenditori vicini a Matteo. Anche dopo il suo arresto Filardo è riuscito ad accaparrarsi lavori, i cui utili sono serviti a sovvenzionare la latitanza di Matteo. In questa gestione ha avuto un ruolo determinante l’imputato Lo Sciuto per i lavori di Vento divino e McDonald. Francesco Guttadauro ha svolto il ruolo di percezione delle somme delle due ditte (beneficiaria anche la zia), ma anche di dirimere le controversie”. La requisitoria continua giovedì.

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