Processo “Eden”, depone il marito di Patrizia Messina Denaro

Chiara Putaggio

Processo “Eden”, depone il marito di Patrizia Messina Denaro

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giovedì 08 Gennaio 2015 - 18:43

È iniziata con la proposta di una produzione documentale l’ultima udienza del processo scaturito dall’operazione antimafia “Eden 1”. Nella precedente udienza il collaborante Lorenzo Cimarosa aveva affermato che Anna Patrizia Messina Denaro  (imputata accusata di associazione mafiosa ed estorsione) non era figlioccia di Caterina Bonagiuso, anziana possidente castelvetranese della cui eredità si è spesso parlato in aula. Secondo l’Accusa Patrizia Messina Denaro avrebbe commesso il reato di estorsione nei confronti di una delle persone indicate nel testamento ufficiale, Girolama La Cascia (ritenuta parte lesa del procedimento, ma accusata di false dichiarazioni al pm) la quale avrebbe ceduto 70mila euro (in tre assegni) a Patrizia Messina Denaro, ma a suo dire (nell’udienza del 18 dicembre Girolama La Cascia ha rilasciato dichiarazioni spontanee) lo avrebbe fatto eseguendo le volontà dell’anziana che le avrebbe detto di dare il denaro alla sua figlioccia. Ieri l’avvocato Cardinale (difensore di Patrizia Messina Denaro) ha presentato in aula, mediante memoria difensiva, copia integrale dell’atto di battesimo della sua assistita, con certificato parrocchiale. Era attesa anche la deposizione di Girolama La Cascia, assente per motivi di salute. Il primo a testimoniare è stato Vincenzo Panicola, di 44 anni, marito di Patrizia Messina Denaro, indicato nella lista dei difensori. Pur essendo imputato di reato connesso e coniuge di Patrizia, ha deciso di rendere l’esame (Per questo atto è stato nominato un avvocato d’ufficio), rispondendo all’avvocato Cardinale. “Il 4 ottobre del 1994 ho sposato Patrizia. All’epoca lavoravo presso la “Grigoli Distribuzione” da più di un anno. Ero al magazzino. Sono geometra. Avevo chiesto di lavorare in ufficio. Ci sono stato 3 anni, ma non vedendo miglioramento di carriera me ne andai. Avevo chiesto di cambiare mansione, ma non accadde mai. Grigoli è cugino di mia mamma di primo grado. Nel ’97 ho fatto un corso da agente di commercio, mi ero anche iscritto alla camera di commercio. Per poco tempo, qualche anno, ho fatto il rappresentante di prodotti di pulizia. Avevamo anche una ditta di famiglia: la Soropa. Faceva pulizie di spiagge e di cimiteri. L’azienda era in difficoltà. Vista la mia esperienza da magazziniere nel 2000 entrai a lavorare alla Itak, un ingrosso di detersivi, vi rimasi per 5 anni. Sperando di migliorare la mia condizione economica ho costituito una nuova società nel settore delle pulizie. La VGF srl. Essendoci un parente che aveva il centro commerciale in costruzione (Grigoli ndr) speravo di aumentare il fatturato. Ma lavoravo già da un anno. Però l’incarico di Grigoli andò male. Con Santo Clemente, che aveva un’impresa di impianti, costituimmo la VFG impianti e servizi. Era il 2009, un anno prima dell’arresto (Panicola fu arrestato nel 2010). Ora è tutto sequestrato. La mia quota è stata sequestrata. Dopo il mio arresto, il mio socio diede alla mia famiglia quello che mi spettava. Ho contratto debiti con la banca Credito valtellinese, ossia col Credito siciliano. Avevo i fidi di 15mila euro. La Soropa costruzioni era proprietaria di due auto, un camioncino, una pulispiaggia e una pala meccanica. Questa macchina l’ho vista l’ultima volta nella azienda di Giovanni Filardo. Il mezzo non poteva camminare su ruote e Filardo mi faceva il favore di trasportarla sui carrelloni. Fino al mio arresto la macchina era lì. La zona era frequentata da Cimarosa Lorenzo, cognato di Filardo”. In controesame il PM della Dda Carlo Marzella ha chiesto a Panicola: “Ha mai fatto parte di cosa nostra”. “No”, è stata la riposta secca di Panicola. “Ha mai veicolato pizzini per conto di Matteo Messina Denaro?”, ha domandato il pm. “No”, ha ribadito il teste. Come confermato alla domanda del presidente del collegio giudicante, Vincenzo Panicola è stato condannato a 10 anni per l’accusa di 416 bis (associazione mafiosa) dal Tribunale di Marsala. Alla cui sentenza di prima grado il difensore ha opposto appello. “Ero incensurato – ha detto Panicola – e ho misure di prevenzione presso il Tribunale di Trapani”.

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