Processo “Eden”: pena più severa in appello per Patrizia Messina Denaro

redazione

Processo “Eden”: pena più severa in appello per Patrizia Messina Denaro

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lunedì 10 Ottobre 2016 - 18:08

Si è concluso presso la terza sezione della Corte d’appello di Palermo, presieduta da Raimondo Loforti, il processo di secondo grado scaturito dall’operazione antimafia “Eden” che nel 2013 diede un duro colpo alla rete di Matteo Messina Denaro. In quell’occasione fu arrestata anche Patrizia, la sorella del boss castelvetranese la cui condanna in appello è stata adesso aumentata rispetto al primo grado di giudizio. Da tredici anni a quattordici anni e mezzo la pena inflitta alla donna, accogliendo in parte le richieste del pg Mirella Agliastro. Una sentenza più severa, scaturita dal mutamento del capo di imputazione, passato da concorso esterno ad associazione mafiosa. Di fatto, in questo caso, è stata riconosciuta la partecipazione attiva all’organizzazione criminale da parte di Patrizia Messina Denaro. Per quanto riguarda gli altri imputati aumentata (da 3 a 4 anni) anche la pena inflitta a Vincenzo Torino (accusato di intestazione fittizia), mentre è stata confermata la condanna a 16 anni per Francesco Guttadauro, nipote di Matteo Messina Denaro. Clamoroso ribaltone invece per Antonino Lo Sciuto, assolto in primo grado e adesso condannato in appello a 13 anni per associazione mafiosa.

Geometra, imprenditore edile, il 46enne castelvetranese Antonino Lo Sciuto è stato arrestato poco dopo la condanna, dagli uomini della Squadra Mobile della Questura e della DIA di Trapani.

La storia dell’operazione Eden

Il 13 dicembre 2015 sono stati emessi 28 provvedimenti di custodia cautelare a carico di personaggi indiziati di appartenenza a Cosa nostra trapanese. Tra questi i noti Patrizia Messina Denaro, Francesco Guttadauro, Lorenzo Cimarosa, Giovanni Filardo, Mario Messina Denaro. Tutti legati al boss mafioso latitante Matteo Messina Denaro.

In particolare, dalle indagini di “Eden” è emerso che attraverso l’esecuzione di numerosi lavori pubblici e di rilevanza strategica, tali soggetti favorivano direttamente la latitanza del boss mafioso castelvetranese, provvedendo, tra l’altro, ai bisogni della famiglia dello stesso.

Antonino Lo Sciuto, a seguito dell’arresto di Giovanni Filardo, avvenuto nel marzo del 2010, nell’ambito dell’operazione “Golem 2”, aveva ereditato la conduzione della ditta Bf Costruzioni di Castelvetrano, riconducibile a Filardo, impegnata, in quel periodo, unitamente alla ditta Mg Costruzioni di Lorenzo Cimarosa, nella costruzione di un parco eolico a Mazara (“Vento di Vino”), frutto di un accordo al vertice dell’organizzazione mafiosa avvenuto pochi giorni prima di quest’ultima operazione.

Nel corso delle predette indagini che portarono all’esecuzione dei provvedimenti di “Eden 1” emergeva che le ditte gestite direttamente dal duo Lo Sciuto – Cimarosa, la Bf Costruzioni srl e la Mg Costruzioni srl,, erano asservite direttamente alla famiglia di Matteo Messina Denaro a cui i predetti imprenditori dovevano consegnare, con periodicità, parte degli incassi; all’interno della Bf Costruzioni agivano anche alcuni mezzi d’opera di proprietà dei coniugi Vincenzo Panicola e Patrizia Messina Denaro.

Filardo, peraltro, definitivamente condannato alla pena di anni 12 di reclusione nel processo Golem 2, era stato indicato quale reggente della famiglia di Castelvetrano assieme al cugino Vincenzo Panicola (cognato del latitante). I due si raccordavano con Filippo Guttadauro, fino al momento della suo arresto avvenuto nel dicembre del 2006. Era Filardo che avvicinava le imprese che avevano vinto appalti nella zona imponendo l’esecuzione di sub-appalti alle proprie imprese.

Si evidenziava pertanto che Lo Sciuto, braccio operativo di Filardo (durante la detenzione del medesimo), e direttamente investito da Francesco Guttadauro poi, aveva continuato ad ottenere e gestire le commesse per conto delle imprese di riferimento della cosca dei Messina Denaro (BF ed MG Costruzioni), adoperandosi per la proficua realizzazione del parco eolico “Vento di Vino” e del McDonald’s di Castelvetrano. Lo Sciuto, quindi, conducendo in prima persona la gestione dei conti dell’impresa, riusciva a garantire le somme necessarie destinate sia al favoreggiamento della latitanza di Matteo Messina Denaro che al sostentamento del suo nucleo famigliare.

Il Tribunale di Marsala aveva condannato in primo grado Patrizia Messina Denaro per concorso esterno in associazione mafiosa, per aver veicolato al marito detenuto dei messaggi del fratello latitante, e tentata estorsione ai danni di una delle eredi della signora Bonagiuso, ricca possidente castelvetranese, che aveva lasciato una grossa somma di denaro a due vicine di casa.

Patrizia Messina Denaro era stata invece assolta per l’estorsione di 70.000 euro ai danni di un’altra erede della Bonagiuso.

Anche Francesco Guttadauro era stato condannato per associazione mafiosa e per concorso nella medesima tentata estorsione nei confronti delle eredi Bonagiuso.

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