Ragazzi di Vita

Claudia Marchetti

Marsala

Ragazzi di Vita

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mercoledì 24 Gennaio 2018 - 07:30

E’ la realtà che supera la fiction, o la fiction che supera la realtà? E’ un dibattito che, in questi giorni, sta coinvolgendo magistrati, giornalisti, opinionisti o presunti tali. Pareri difensivisti ed eccessivamente accusatori sul delicato fenomeno delle baby gang di Napoli. Una Napoli che, al di là delle sue rare bellezze, nasconde “Ragazzi di Vita”. Ma lo sfondo non sono le borgate romane descritte da Pasolini, ma le piazze ottocentesche, le cinta murarie della Città, i nomi dei reali e la tipicità dei quartieri spagnoli. Ragazzini, molto spesso bambini, dai 10 ai 14 anni, che accerchiano coetanei per picchiarli a sangue, talvolta per goliardia, altre volte per rubare un cellulare e qualche euro. Chi c’ha rimesso un naso, chi la milza, ma prima o poi, come se già non fosse accaduto, qualcuno ci rimetterà la vita.

Senza troppo indagare sulla storia personale di questi piccoli carnefici, senza conoscerne famiglie, condizioni sociali ed economiche, c’è chi, soprattutto dalla parte della legge, chiede pene più severe per i giovanissimi. D’altro canto invece, c’è chi sostiene come Roberto Saviano che quei ragazzi prima di essere puniti vanno salvati, salvati grazie ad un sistema scolastico solido che formi il giovane in contesti come quelli dell’hinterland partenopeo. Belle parole quelle di Saviano, qualcuno penserà, ma come metterle in pratica. Forse saranno rivolte al vento, ma sicuramente pensare al duro riformatorio non è una soluzione. Molto spesso accade che, dopo un periodo di carcere minorile, il giovane non ne esca rieducato ma condannato alla strada, nell’accezione più negativa del termine. Questo non vuol dire che non ci possano essere sanzioni esemplari; in taluni casi il metodo americano di riparare il danno commesso attraverso la propria attività nei servizi sociali è molto più utile e formativo. Ma per quanto riguarda le bande di Napoli, siamo di fronte ad un vero allarme sociale. Nessuno fa nulla perchè in realtà i “soldatini” servono alla criminalità organizzata, alla Camorra. Piccole braccia armate crescono.

Queste però, non sono storie nuove, ma vecchie. Molto più datate di quanto oggi non ci possa narrare la serie tv “Gomorra”, tratta dal romanzo-denuncia di Saviano, che sembra essere stata additata come il centro di tutti i mali, in cui maturano piccoli grandi emulatori. Vero è che la televisione è un mezzo sempre più “pericoloso”, soprattutto se i protagonisti sono minori, in quanto veicoli di notizie “servite” in un certo modo, a farci il più delle volte un bel lavaggio di cervello. Ma le baby gang, così come le bande di giovanissimi stupratori, non sono favole, tv, invenzione. E’ la cruda realtà del far west italiano e non solo di periferia. Modello (negativo) non è Ciro di Gomorra, modelli sono gli “scugnizzi” di Scampia per Gomorra.

Polemiche sterili che non fanno altro che posticipare un concreto intervento per risolvere la problematica che, razionalmente, non scomparirà dall’oggi al domani. Potrà invece essere limitata tutelando i minori, sia le vittime che i carnefici, con una rete che abbracci Istituzioni e figure professionali quali assistenti sociali, psicologi, sociologi, magistrati, avvocati, forze dell’ordine. I problemi partono dalle mura domestiche perchè spesso si tratta di bambini che hanno genitori camorristi, o detenuti, ragazzi che non frequentano la scuola e che trascorrono il loro tempo per strada tra un motorino rubato e uno spinello.

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