L’eredità di Rostagno

Vincenzo Figlioli

Marsala

L’eredità di Rostagno

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mercoledì 27 Settembre 2017 - 06:15

Di cosa parlerebbe oggi Mauro Rostagno? Me lo chiedo quasi ogni giorno, da quando faccio questo mestiere. A volte provo a immaginare di accendere la tv e ritrovarmi nuovamente davanti il logo di Rtc e in onda “quel signore vestito di bianco con la barba” che per me era Rostagno. Il 26 settembre del 1988 avevo dieci anni: mentirei se scrivessi di essere stato un assiduo spettatore dei suoi telegiornali. Ricordo però qualche occasione in cui mio padre cambiava improvvisamente canale per sintonizzarsi su Rtc e ascoltare le ultime novità sul nostro territorio. E ricordo anche che dopo l’omicidio gli chiesi come mai lo avessero ucciso e lui mi accennò alla possibilità che c’entrasse la mafia. Erano gli anni del maxiprocesso, delle prime recite scolastiche in cui si parlava di Cosa Nostra, della Piovra su Rai Uno, degli speciali di Enzo Biagi. Il me stesso bambino provava un misto di curiosità e angoscia di fronte a un argomento che sembrava aver colonizzato la programmazione televisivi di quegli anni. Curiosità che nutrivo anche nei confronti di “quel signore vestito di bianco con la barba” che sembrava portatore di qualcosa di magico. A quell’età, tuttavia, non potevo che preferire i cartoni animati o le telecronache sportive.

Ci vollero anni prima che capissi qualcosa in più delle sue denunce e delle sue inchieste. Un formidabile contributo è arrivato dai libri di Salvatore Mugno, che raccogliendo gli editoriali di Rostagno e ricostruendone la complessa biografia ha lasciato ai posteri un patrimonio culturale che ogni giornalista e ogni cittadino di questa terra dovrebbe conoscere. Un neofita dell’informazione potrebbe immaginare che Rostagno parlasse ogni giorno di mafia in tv: nulla di più sbagliato. In realtà, la sua formazione sociologica faceva in modo che le sue attenzioni quotidiane si concentrassero su argomenti di cronaca con cui i cittadini della provincia di Trapani si confrontavano ogni giorno: è vero, parlò anche di logge massoniche e di politici collusi con la mafia, ma Cosa Nostra era una sorta di approdo finale a cui si giungeva dopo aver parlato dell’acqua che non arrivava nelle case, dei topi al mercato o dello sversamento di liquami per strada. Ancora oggi, fare giornalismo nel trapanese significa parlare di un territorio bellissimo, ma che inspiegabilmente giace in fondo alle classifiche sulla qualità della vita a causa del malfunzionamento di tanti servizi essenziali. Se Rostagno fosse qui, oggi come 29 anni fa, si interrogherebbe sui problemi idrici, la microcriminalità, il degrado dei quartieri popolari e dedicherebbe approfondite riflessioni sulla gestione dei rifiuti, sulla disoccupazione giovanile, sull’abusivismo edilizio, passando in rassegna le responsabilità della politica. Ricordarlo oggi è un invito a tutti coloro che lavorano in questo settore, a fare meglio il proprio mestiere. Invito che, naturalmente, cerco di indirizzare prima di tutti a me stesso.

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