Silvio Mirarchi e il velo spezzato

Chiara Putaggio

Silvio Mirarchi e il velo spezzato

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giovedì 01 Giugno 2017 - 06:50

Un anno fa la nostra città è stata svegliata violentemente. Avevano sparato ad un carabiniere. Non si sapeva chi fosse, in un primo momento. Lo avevano preso di spalle, nelle campagne tra Ventrischi e Sant’Anna. Tra sciare e sterpaglie. Di notte. Era buio. Erano in due. Uno era rimasto illeso. L’altro ferito, gravemente.

Seguirono ore febbrili e surreali. Anche noi cronisti stentavamo a crederci. Eppure man mano che si riuscivano ad integrare le notizie, il dolore cresceva e si faceva più vero. Alcune ore dopo il terribile epilogo. Silvio Mirarchi non ce l’aveva fatta. Ma il suo servizio di uomo di Stato, finito nel più disperato e al tempo stesso eroico dei modi – per i tanti che hanno avuto il pregio di conoscerlo – ha, in un certo senso, svegliato la consapevolezza della nostra città. Ha spezzato il velo dell’ombra.

Fino a prima di quegli spari Marsala era una cittadina tranquilla, o almeno era percepita tale. Ai margini della grande delinquenza e criminalità. È vero, pochi anni prima la nave Adam carica di tonnellate di hashish, aveva fatto tappa qui, ma era solo una questione geografica. Fermata qui vicino dalla Guardia di Finanza. Omicidi a Marsala? Pochi e per futili motivi, anche se alcuni ancora irrisolti, come quello di Baldassare Marino, nell’agosto di due anni prima, in un’altra contrada buia. Il marsalese, fino al giorno terribile che oggi ricorre, non si era avveduto del gradimento morale cresciuto nel buio. Ma Silvio Mirarchi, così come i tanti uomini delle forze dell’ordine che operano quotidianamente qui, se ne era accorto eccome. Da lì a poco sono state svelate piantagioni di cannabis che nemmeno nella Giamaica cantata negli anni settanta era pensabile. Nel buio di una notte sonnolenta una brutta Marsala cresceva e Silvio Mirarchi e i suoi colleghi lavoravano e lo fanno ancora per accendere la luce.

Ora siamo più consapevoli e più preoccupati, ma a buon diritto. Anche l’azione delle bande di ragazzi prepotenti che infestano il centro – nei tratti più bui – nel fine settimana, sono indici di uno status quo tutt’altro che trascurabile e dilagante. Siamo alla fine della decadenza e anche se il lavoro pregevole e instancabile delle forze ha dato volti e nomi a questa tragica vicenda, il risveglio di Marsala non è ancora completo.

Mi torna alla mente un’altra epoca. Ero adolescente. Anni 90. E il Cassero era oscurato dalla presenza di un decennale ponteggio per la ristrutturazione del complesso San Pietro. Nemmeno la processione del Venerdì santo poteva passare. Complice questa oscurità, i malviventi agivano indisturbati o quasi e ricordo bene mia nonna che mi intimava di rincasare entro le 19.30. Una specie di tacito coprifuoco. Poi, dopo lunghi anni di timoroso torpore fu la politica a fare la sua parte e il ponteggio fu rimosso. Arrivarono i Falchi. I negozianti ne furono felici. Nel frattempo anche le stragi di Capaci e via D’Amelio e i Vespri siciliani. Marsala tornò alla luce e a vivere anche dopo le 19,30.

Oggi, come allora, siamo in viaggio, verso la luce che passa per la consapevolezza e per il dolore. Un dolore che non avremmo mai, mai voluto provare.

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