Strage di Capaci, Umberto Di Maggio (Libera): “Per noi, ogni giorno è il 23 maggio”. Sul ddl anticorruzione: “Si deve fare di più”

Vincenzo Figlioli

Strage di Capaci, Umberto Di Maggio (Libera): “Per noi, ogni giorno è il 23 maggio”. Sul ddl anticorruzione: “Si deve fare di più”

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sabato 23 Maggio 2015 - 18:43

La memoria collettiva del nostro Paese, ogni anno, passa in rassegna alcune giornate che raccontano tanto di quella che è stata la Storia Repubblicana. Tra queste c’è il 23 maggio, da 23 anni indissolubilmente legato alla Strage di Capaci e ai nomi di chi, come Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani, ha perso la vita nella guerra scatenata dalla mafia contro lo Stato. Ed è sul binomio memoria-impegno che, fin dalla sua fondazione Libera ha lavorato, con un’attenzione costante a tutti i territori. Non a caso, nel momento in cui la nostra redazione lo ha chiamato per un’intervista, il coordinatore regionale di Libera Umberto Di Maggio si trovava a Caltanissetta, per un convegno sui beni confiscati…

Sono passati 23 anni, per chi ha scelto l’impegno civile come compagno di viaggio quotidiano, che giornata è?

Per noi, ogni giorno è il 23 maggio, ogni giorno è il 19 luglio. E’ sulla continuità che si gioca la credibilità. Ogni giorno è il 23 maggio nell’incontro con le tante storie di chi resiste in questa terra, nonostante la corruzione che incancrenisce le nostre comunità e le mafie, con tutti i loro abiti, dalle coppole ai colletti bianchi. Anche se spesso lo pensiamo, corrotti e mafiosi non hanno in mano le chiavi delle nostre città. Le abbiamo noi. Quel che conta è l’insieme. Non si può delegare la lotta alla mafia ai magistrati, alle forze dell’ordine, ai giornalisti, ai sindacalisti o ai professori. E’ l’insieme che fa la differenza, mentre la mafia ci vuole singoli. L’insieme che vediamo nei cortei del 23 maggio e del 19 luglio. Trecentosessantacinque giorni l’anno, ognuno di noi si allena, gioca la sua partita, talvolta si sente isolato e si scoraggia. Per poi scoprire, in queste giornate, che la maggior parte dei siciliani è geneticamente antimafiosa.

E’ antimafiosa anche la maggior parte della classe dirigente che ci governa?

E’ su questo che si gioca la partita. Abbiamo uno Stato che oggi coraggiosamente sta chiedendo conto a se stesso. Il processo sulla Trattativa è rivoluzionario, è importantissimo. Perché la Repubblica Italiana sta chiedendo conto a una parte dello Stato democratico su quello che succedeva negli anni in cui, in Italia, si uccidevano magistrati, forze dell’ordine, giornalisti, sindacalisti, preti e cittadini comuni. Io apprezzo uno Stato che ha il coraggio di guardare dentro se stesso e individuare i suoi servitori infedeli. La politica non può scendere a patti con la mafia. Un servitore non può andare a negoziare con la mafia. Se il processo dimostrerà che questo è successo, lo Stato si dimostrerà più forte. Perché avrà dimostrato di aver saputo chiedere conto e punire quei suoi servitori che si sono macchiati di crimini gravi. Il 23 maggio serve anche a questo: a ricordarci che siamo una Repubblica. E una Repubblica è tale se nelle norme, nella democrazia e nella sua prassi quotidiana sa sviluppare quest’azione di responsabilità. Questo è il 23 maggio.

Da anni Libera chiede una legge contro la corruzione. Il ddl appena approvato in Parlamento va nella giusta direzione o si poteva fare di più?

Si può certamente fare di più. I passi importanti sono stati fatti sul falso in bilancio, che torna ad essere un crimine. Si deve fare di più, soprattutto, nel rescindere in maniera decisa, senza mezzi termini, il rapporto tra la mafia e la raccolta del voto. Siamo in una situazione di crisi profonda, la gente si vende per un tozzo di pane e questo non possiamo consentirlo. Apprezziamo i passi fatti, ma bisogna insistere, anche sui beni confiscati. Sarà forte lo Stato che riuscirà a confiscare i beni dei corrotti, come ha fatto con quelli dei mafiosi, riutilizzandoli poi per fini sociali.

Quando si parla di certi anniversari, come il 23 maggio e il 19 luglio, torna d’attualità anche il tema della tutela ai magistrati più esposti nella lotta alla mafia. Il pensiero va a Nino Di Matteo, ma ce ne sono anche tanti altri, i cui nomi sono magari meno conosciuti dall’opinione pubblica. Lo Stato fa abbastanza per loro?

A proposito di Nino Di Matteo, da un lato c’è la bocciatura del Csm per un incarico importante. Inspiegabile, visto il suo curriculum. Dall’altro c’è il rafforzamento delle misure di tutela nei suoi confronti, tramite il bomb jammer. Io dico che i giudici vanno sostenuti quando sono in vita. Rispetto a un tempo, c’è un’attenzione sicuramente superiore quando parliamo di giudici che si occupano di mafia. Sicuramente c’è una sensibilità che può crescere ancora quando parliamo di giudici che si occupano di indagini che riguardano affari che uniscono le mafie ad altri sistemi di potere.

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