Il tempo della massomafia

Vincenzo Figlioli

Marsala

Il tempo della massomafia

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venerdì 22 Luglio 2016 - 09:04

La chiamano “massomafia”: è la nuova organizzazione che sta condizionando la vita politica, sociale ed economica del nostro paese. Un termine non di nuovissimo conio (il primo a parlare di “massomafia” fu il docente catanese Giuseppe D’Urso all’inizio degli anni ’80) ma che ben descrive il nuovo contenitore in cui trovano spazio gli uomini di Cosa Nostra sopravvissuti agli arresti degli anni scorsi, gli affiliati alle logge segrete della massoneria deviata (da non confondere con quella “ufficiale”), pezzi di pubblica amministrazione, magistrati e politici corrotti, professionisti che arricchiscono i loro conti in banca navigando nelle zone grigie. Un po’ quello che succedeva a Trapani con Iside 2 trent’anni fa. Ma, adesso, l’impressione è che il meccanismo sia ancora più complesso e tentacolare.

Di “massomafia” ha parlato in questi giorni, trascorsi tra Palermo e Trapani, la Commissione Parlamentare Antimafia presieduta da Rosy Bindi, che sull’argomento ha citato il procuratore Roberto Scarpinato, uno dei maggiori conoscitori dei sistemi criminali in Italia. Facendo riferimento diretto anche alla provincia di Trapani, Scarpinato ha spiegato in questi giorni come la “massomafia” sia al centro di grandi affari. Inevitabile, a tal proposito, pensare al business dei rifiuti e al continuo ricorso alla strategie dell’emergenza nel pieno rispetto dei principi della shock economy, in cui a creare i problemi sono gli stessi che si presentano all’opinione pubblica come portatori di soluzioni. Esattamente come avveniva (e in certi casi avviene ancora) ai tempi del “pizzo”, quando i “picciotti” della mafia andavano a rapinare le attività commerciali o a creare disordini, risse e situazioni imbarazzanti nelle discoteche o nei pub in modo da convincere i titolari ad affidarsi alla protezione delle cosche. Ovviamente, non ci sono solo i rifiuti: come ha ammesso anche la presidente Rosy Bindi, è difficile immaginare che le piantagioni di canapa che hanno fatto somigliare le campagne marsalesi ad una succursale della Colombia dei narcotrafficanti siano attecchite senza il controllo delle organizzazioni criminali. Poi c’è il business dei migranti: da un lato gli scafisti, dall’altro la gestione dei centri di accoglienza, anche qui, spesso, in regime di emergenza. Infine, ci sono gli uffici pubblici delle amministrazioni locali. Ed è lì, è stato spiegato, che spesso trovano spazio gli interessi delle mafie, che sono riuscite a sopravvivere ai regolamenti anticorruzione, ai codici etici e ai certificati antimafia varati negli anni.

Non sarà facile smantellare la “massomafia”, la cui composizione eterogenea costituisce di per se stessa un elemento di complessità ben maggiore rispetto a quello della vecchia Cosa Nostra. Cominciare a conoscere il “nemico” è però una condizione indispensabile per poter capire come combatterlo.

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