"Il terremoto è un ottimo insegnante": la testimonianza dall'Abruzzo del marsalese Sergio Pipitone

redazione

"Il terremoto è un ottimo insegnante": la testimonianza dall'Abruzzo del marsalese Sergio Pipitone

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domenica 06 Novembre 2016 - 17:05

Quando arriva il terremoto, l’unico pensiero che ti scorre nella mente è: farò la fine del topo.
Perché è proprio in quel preciso istante che la tua casa, il luogo in cui trovi riparo dalle difficoltà quotidiane della vita, diventa una trappola mortale.
Il terremoto è il più insopportabile dei coinquilini. Puoi sforzarti di conviverci, ma alla fine lo sai che non andrete mai d’accordo.
In Abruzzo, regione in cui vivo da ormai dieci anni, lo sanno che il terremoto è sempre in agguato. Dopo L’Aquila tutto è cambiato. Sono cambiate le normative, le nostre conoscenze sismologiche. È cambiata la gente. Il terremoto te lo porti dentro, riesci a sentirlo anche quando non si manifesta. Quella sensazione di tremolio, il senso di vuoto sotto le gambe, ti accompagna tutti i giorni.
Questa volta, per fortuna, il terremoto non ha fatto vittime. Sì, per fortuna. Perché siamo stanchi di recuperare i corpi sotto le macerie. La gente ha perso tanto, ma almeno è riuscita a tenersi cara la vita.
Quello della mattina del 30 ottobre, dati alla mano, è stato il sisma più forte in Italia da quando un terremoto rase al suolo l’Irpinia nel 1980. L’epicentro è a Norcia, nella zona già duramente colpita dagli eventi del 24 agosto e del 26 ottobre.
Ed è proprio nella serata del 26 ottobre che è iniziato tutto. Perché se c’è una cosa che ho imparato dal terremoto è che la scossa forte è sempre preceduta da altre più lievi.
Il terremoto è un ottimo insegnante. È difficile che abbia bisogno di rispiegarti il concetto più di una volta. Non devi perdere la calma; mai scappare sulle scale e devi nasconderti sotto un tavolo o una parete portante. Tutti concetti che conosci a memoria ma che puntualmente non riesci mai ad attuare, perché la paura è la più vile e forte delle emozioni. La notte, quando riesci, dormi vestito, con le chiavi appese al collo e il portafogli sempre a portata di mano.
A me il terremoto ha insegnato il vero concetto della solidarietà. Perché quando la terra trema perdi contezza della realtà. I telefoni non funzionano, non hai la reale percezione di cosa sia accaduto ma soprattutto dove sia accaduto, le sirene suonano, la gente corre per strada, le macchine iniziano a girare in cerca di un luogo sicuro dove passare la notte.
In questa situazione di caos l’unica cosa a cui ti puoi attaccare sono le persone, la gente comune, quella che non hai mai incontrato nella tua vita. La notte del 26 agosto la terra ha tremato. Come sempre lo ha fatto senza preavviso. Non forte quanto la mattina del 30 ottobre alle 7:41, ma abbastanza da far attivare tutte le procedure di sicurezza necessarie.
Quella notte l’ho passata in compagnia di tanti studenti fuori sede. Li abbiamo accolti nella struttura dell’ospedale veterinario dell’Università degli Studi di Teramo, dove il Magnifico Rettore ha predisposto l’immediata preparazione di un centro di accoglienza per gli sfollati. Con l’aiuto dei docenti e degli studenti dell’ospedale sono stati recuperati ed accolti oltre 250 studenti fuori sede ed Erasmus.
Ed è proprio in quella notte che ho capito che il vero tallone d’Achille del terremoto siamo noi. Vedere persone aiutarsi e sostenersi tra di loro è stato il più grande atto d’amore del quale sia stato spettatore.
È complicato raccontare l’esperienza della mattina del 30 ottobre. La domenica alle ore 7:41 è buona norma dormire. Dormivo quella mattina. Capisci subito che questa volta “l’ha fatta forte”. Il rumore del cemento che si sposta, i vetri che sbattono e gli oggetti che cadono, li comprendi solo se li vivi.
Accendi la tv. I telegiornali parlano di un terremoto di magnitudo 7.1 (poi rettificato a 6.5). Non sai nemmeno cosa sia la magnitudo ma sai che superati i 6 puoi iniziare a preoccuparti.
Il terremoto non lo puoi scacciare, è sempre nascosto sotto i nostri piedi. Col terremoto devi solo imparare a convivere. A me piace pensare che, per tenerlo lontano, basti una chitarra e gli occhi di quegli studenti Erasmus che, un po’ come me, lontani dalla propria terra e dalla propria famiglia trovano la forza di sostenersi l’uno con l’altro.

Sergio Pipitone

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