The revenant

redazione

The revenant

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venerdì 29 Gennaio 2016 - 09:19

“Perché nel mezzo di una tempesta, se guardi i rami di un albero, giureresti che stia per cadere. Ma se guardi il suo tronco ti accorgerai ti quanto sia stabile!”

Ultimo film di Alejandro González Iñárritu e di cui tutti parlano, soprattutto se associato alla parola Oscar, beh… che dire, ben lontano dalla genialità di Birdman, The revenant risulta estraneo all’originalità degli intrecci a cui il buon Iñárritu ci ha abituati.

La storia è lineare e fin troppo prevedibile, per questo molti indugi dell’inquadratura sembrano assolutamente superflui, soprattutto se non supportati da un messaggio poetico adeguato; a parte la magistralità del piano-sequenza (ma che il regista ci sapesse fare con il piano-sequenza lo sapevamo già) ho avuto l’impressione che si stesse cimentando in qualcosa che non gli appartenesse, o meglio che gli sia sfuggito di mano il concetto di dilatazione del tempo applicato ad una trama che avrebbe dovuto correre come un treno.

L’ambientazione è meravigliosa, scenari freddi, innevati, glaciali che fanno da teatro ad un’azione che si distingue per pochi picchi; la Natura, vera e unica protagonista, è esaltata dalla fotografia puntuale e perfetta di Emmanuel Lubezki, ma non giustifica la durata del film.

La storia è la più antica del mondo: sopravvivere per vendicarsi, a qualunque costo sfidando ogni asperità anche ridotti a larve umane.

Leonardo Di Caprio è la larva umana protagonista di questo film, la prova era ardua e non per il freddo, il gelo e lo stato in cui ha dovuto girare certe scene, ma perché il personaggio non era delineato abbastanza da richiedere un’interpretazione nel senso più stretto del termine; è stata una prova fisica volta alla resistenza più estrema, non un’interpretazione quella che è stata chiesta a Di Caprio per rivestire i panni della guida Hugh Glass; troverei anche piuttosto grottesco dargli un Oscar per questo film quando gliene sono sgusciati via dalle mani almeno tre per le interpretazioni in cui si era cimentato e distinto fino al 2014.

Ma la Academy adora dare Oscar per ruoli che si ricordano più per come si è ridotto un attore che per come li ha interpretati… almeno, la tendenza sembra proprio questa…

Un discorso a parte va fatto per il villain, interpretato dall’irriconoscibile Tom Hardy, forse un po’ stereotipato, ma interpretato magnificamente in tutta la sua bassezza. Anche questo ruolo però inferiore rispetto alle interpretazioni che ce lo hanno fatto conoscere ed amare, Bronson del buon Refn sopra tutti.

Insomma, io non sono pienamente soddisfatta, vuoi che da Iñárritu mi aspettavo qualcosa di diverso, non un film tratto da una storia vera (seppur romanzato) in cui mi chiedo continuamente “ma come fa?”, con un finale che poteva arrivare almeno quaranta minuti prima; vuoi per l’impiego di attori che ci regalano sempre delle interpretazioni incisive e che questa volta non mi hanno colpita fino in fondo… a parte il “poraccioDiCapriocertochenehadovutepassareunsaccoperprendersilOscar”, ovvio!

Daje Leo, se no l’anno prossimo chissà che ti tocca fare…

Daniela Casano

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