Trentaquattro anni senza Pippo Fava, fustigatore di mafia e potere

redazione

Trentaquattro anni senza Pippo Fava, fustigatore di mafia e potere

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sabato 06 Gennaio 2018 - 10:43

Ho visto molti funerali di stato e gli assassini erano sul palco delle autorità”: questa frase è solo una delle verità taglienti che Pippo Fava osò dire nel corso di tutta la sua carriera e non solo in diretta nazionale, durante la sua ultima intervista rilasciata a Enzo Biagi, nel dicembre del 1983. Il mese successivo, la sera del 5 Gennaio 1984, uno dei più coraggiosi protagonisti del giornalismo italiano è stato ammazzato con cinque pallottole da Cosa Nostra (utilizzo il verbo “ammazzare” e non “uccidere” di proposito, l’ultimo “suona meglio”, nel primo ci sono quelle zeta che quasi danno fastidio, che è esattamente il sentimento dovrebbe smuovere la nostra anima quando udiamo di storie come queste, ndr).

Pippo Fava iniziò la sua carriera giornalistica negli anni 50 trattando di sport, negli anni ’60 e ’70 svolse diverse inchieste sulla Sicilia; fu l’unico ad intervistare il boss mafioso Giuseppe Genco Russo. Nel 1980 diventò direttore de il “Giornale del Sud”: è per l’appena citato quotidiano che firma il celebre testo sull’etica del giornalismo. Nel 1982 fonda invece il giornale “I Siciliani”, vivo ancora oggi nel suo nome.

“(…)Ma questo lampo ha svelato una verità più alta e tragica: la mafia è dovunque, in tutta la società italiana, a Palermo e Catania, come a Milano, Napoli o Roma, annidata in tutte le strutture come un inguaribile cancro, per cui l’ordine di uccidere Dalla Chiesa può essere partito da un piccolo bunker mafioso di Catania, o da una delle imperscrutabili stanze politiche della capitale.(…)”, scriveva Pippo Fava nel manifesto del mensile da lui fondato. Senza peli sulla lingua, rendeva note verità per la quale l’Italia degli anni ’80 non era probabilmente pronta (considerando il fatto che forse non lo è nemmeno l’Italia del 2018): scriveva, svolgeva indagini, pubblicava inchieste, nomi e cognomi, domande e risposte perché “(…)in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza la criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente all’erta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo.”

Ieri a Catania, 34 anni dopo la sua morte, è stato presentato il trailer della fiction Rai “Prima che la notte” ispirata al libro di Claudio Fava e Michela Gambino, in cui Fabrizio Gifuni interpreta Giuseppe Fava, con la regia di Daniele Vicari. Il consueto corteo e l’omaggio alla lapide sono stati organizzati da “I Siciliani”, dalla Fondazione Fava e da una rete di associazioni del posto. Quante persone c’erano? Non ha importanza. Giuseppe Fava non ha dato la sua vita invano ogni volta che nomi e cognomi vengono messi nero su bianco, ogni volta che una carovana di giovani si uniscono al grido di “A che serve essere vivi se non si ha il coraggio di lottare?”, ogni volta che l’umanità ha il coraggio di dire no alle mafie, no al clientelismo, no all’assenza dello Stato, no a una politica fatta di ipocrisie, ogni volta che viene rifiutata una proposta di voto di scambio, ogni volta che “la mafia esiste e uccide anche donne e bambini”, ogni volta che si ha il coraggio di dire che “la mafia è una montagna di merda” rischiando anche di essere querelati per questo, ogni volta che i siciliani si risvegliano dal loro sogno il cui setting è la meravigliosa isola e dicono di no a chi la violenta ogni giorno con le proprie condotte mafiose.

Marianna Laudicina

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