Un Nobel per Lampedusa

Vincenzo Figlioli

Apertura

Un Nobel per Lampedusa

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mercoledì 24 Febbraio 2016 - 07:00

Dopo Luigi Pirandello e Salvatore Quasimodo, la Sicilia torna a seriamente a candidarsi per il terzo Premio Nobel della sua storia. Merito del regista Gianfranco Rosi, che con il suo documentario “Fuocoammare” non solo ha trionfato al Festival del Cinema di Berlino suscitando l’entusiasmo della giuria presieduta da Meryl Streep, ma ha soprattutto restituito a una platea internazionale la preziosa lezione di accoglienza che gli abitanti di Lampedusa hanno dato al mondo.

La più grande delle Pelagie si è ritrovata in questi anni esposta a ondate migratorie difficili da sostenere. Quando tutto cominciò, politici e opinion leader capivano pochissimo di immigrazione. Si parlava solo ed esclusivamente di clandestini o al massimo di extracomunitari. Quasi mai di richiedenti asilo, rifugiati o profughi. Si faceva fatica a capire che la risposta agli sbarchi non era legata soltanto a questioni di ordine pubblico e che doveva riguardare l’intero Paese e non soltanto Lampedusa o la Sicilia (figuriamoci se si parlava di “politica europea dell’accoglienza”). I lampedusani si sono sentiti abbandonati e hanno sentito soffiare in più di un’occasione le sirene della “paura del diverso”, facendosi anche sedurre per qualche stagione dalle sirene leghiste.

I primi cambiamenti sono arrivati quando, durante l’ultimo governo Berlusconi, si è deciso di istituire persino il reato di immigrazione clandestina. E, a quel punto, sono stati gli anziani pescatori a dare lezioni di umanità e disobbedienza civile ai più giovani, rifiutandosi di lasciarli affondare e decidendo di salvare le vite di tanti migranti davanti alle coste di Lampedusa. “Per noi esiste la legge del mare”, rispondevano a chi li accusava di aver violato una legge dello Stato, macchiandosi del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. E al loro coraggio, un altro bravo regista italiano, Emanuele Crialese, ha voluto dedicare nel 2011 il film “Terraferma”.

Superate le difficoltà iniziali, i lampedusani hanno quindi cominciato a vedere nelle donne e negli uomini che arrivavano dal Nord Africa persone molto più simili a loro di quanto avrebbero immaginato. Hanno sentito la forza di un legame con il mare, fatto di vita e di morte. Un messaggio di apertura in assoluta controtendenza rispetto ai venti di guerra che sempre più impetuosi soffiano sul Mediterraneo. Un messaggio che, di questi tempi, vale per intero il Premio Nobel per la Pace.

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