“Un’unica famiglia, la famiglia felice. Battaglia di civiltà”. Scrive Daniele Nuccio, a proposito di unioni civili

redazione

“Un’unica famiglia, la famiglia felice. Battaglia di civiltà”. Scrive Daniele Nuccio, a proposito di unioni civili

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venerdì 29 Gennaio 2016 - 16:58

Com’è noto la polemica sul disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili e le adozioni gay è approdata in Città.

Con una nota a firma del movimento “ProgettiAmo Marsala”, dell’UDC e dell’On. Grillo si chiede al Sindaco ed al Consiglio Comunale di prendere posizione sull’argomento, ponendosi in contrasto con la predetta iniziativa parlamentare.

Bene, posto il più totale rispetto per questa opinione, trattandosi di una tematica così delicata, vorrei condividere con voi alcune riflessioni.

Vedete, proviamo a fare un salto nel passato e immergiamoci nel clima della “stagione referendaria” anni settanta.

Anche allora la società, gli intellettuali e la politica si confrontavano sulla regolamentazione di quelle norme concernenti la sfera “privata” e dei diritti.

Anche allora ci si divise, si strumentalizzarono le tematiche forse spinti anche da una certa propensione (tristemente attuale) ad intercettare i desiderata del bacino elettorale di riferimento.

Tuttavia, memorabili le battaglie del Partito Radicale, quella stagione si concluse con il riconoscimento dell’aborto e del divorzio, di fatto proiettando il Paese nella dimensione della modernità, nonostante l’ostruzionismo dell’autorità vaticana.

Chi difendeva il “dogma”, l’assoluta negazione del diritto di una donna a rinunciare alla propria maternità, trascurava il fatto che queste pratiche illegalmente venivano perpetrate clandestinamente dalle “mammane”.

Dimenticavano che il divorzio non regolamentato altro non era che la beffa per tutte quelle donne che in una società fortemente maschilista vivevano la forzosa sudditanza al marito (pensate, il “delitto d’onore” viene abrogato solo nel 1981).

Ma torniamo all’attualità.

Perché la politica per una volta non può intercettare la velocità di una società così dinamica?

Perché ci si ostina ad ostacolare il diritto dell’uomo e della donna ad essere felici?

L’Italia, si sa, è molto indietro rispetto ad altri Paesi in materia di diritti.

In Spagna, Belgio, Olanda, Regno Unito, Islanda, Canada, New York e Washington, solo per citare alcuni Paesi, queste norme sono state già da tempo codificate e l’ordine non è stato sovvertito.

Chi ha detto che per un bambino è preferibile crescere in un orfanotrofio all’essere adottato da due mamme o due papà?

Chi ha detto che una coppia (omosessuale od eterosessuale) che passa un’intera esistenza insieme, dove l’uno “nella buona e nella cattiva sorte” si prende cura dell’altro non debba vedersi riconosciuti gli stessi diritti di una coppia sposata?

Chi può avere nocumento da questo?

A parte Giovanardi, si intende.

“Ama e fà ciò che vuoi” non lo scrisse l’ultimo dei transgender, ma Sant’Agostino.

Per queste ragioni voglio augurarmi che il Consiglio Comunale del quale faccio parte sappia rigettare le preoccupazioni esposte nel documento di cui sopra.

Non vorrei che fra vent’anni, guardandomi indietro e pensando a questi giorni, mi dovessi ritrovare a realizzare che mentre si provava a costruire una Città più europea, un’ondata di “puritanesimo di ritorno” arroccava questa su concezioni etiche di stampo medioevale.

Come Martin Luther King ognuno di noi ha un sogno.

Personalmente sogno di vivere in una società dove i diritti non siano calpestati.

Dove ogni individuo possa liberamente e svincolato dai condizionamenti di qualunque “dogma” determinare la propria felicità.

Che possa scegliere di costruire la sua vita, di viverla con chi meglio crede (sia esso un albero, una tartaruga od un soggetto dello stesso sesso).

Una società nella quale i bambini possano avere le cure che solo una famiglia felice può dare e dove un uomo malato possa, appellandosi alla sua dignità, scegliere di mettere fine al suo strazio non rimanendo mortificato da una norma che gli impedisce di staccare la spina delle sue sofferenze.

Ma per questo, in fondo, c’è sempre la Svizzera.

Daniele Nuccio

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