Yara, Motta Visconti e la giusta distanza

Vincenzo Figlioli

Punto Itaca

Yara, Motta Visconti e la giusta distanza

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mercoledì 18 Giugno 2014 - 18:38
Yara Gambirasio

Yara Gambirasio

“I giornalisti sono gli storici del presente”, scrisse qualche tempo fa Umberto Eco. E la definizione, senza dubbio, continua ad essere perfettamente calzante. Perché gli operatori dell’informazione raccontano quel che succede ogni giorno, influenzando, di fatto, la percezione popolare su un avvenimento. Proprio per questo, quando scriviamo, credo che dovremmo pensare un po’ di più ai nostri lettori. Lo spunto per questa riflessione nasce da due episodi di cronaca di cui si è molto parlato in questi giorni:  l’omicidio plurimo di Motta Visconti e quello della giovanissima Yara Gambirasio. Chi conosce bene i mezzi di informazione tradizionali così come i nuovi media, sa che più si cavalca il sensazionalismo, più aumentano le copie vendute (o i “click” sul proprio portale) e più soldi arrivano dalla pubblicità. Ed è umano, umanissimo provare sentimenti di rabbia e indignazione di fronte a storie come quelle sopra citate. Succede anche a me. Ma nel momento in cui comincio a scrivere, so bene che devo affrontare la questione da un’altra prospettiva. Quella dell’equilibrio e della “giusta distanza”. Perché questo lavoro non può rinunciare ai principi della deontologia professionale. E, a ben vedere, il linciaggio mediatico contro il “Mostro” di turno non serve a nessuno. Non possiamo rinunciare al nostro ruolo sociale per assecondare gli appetiti di un pubblico che talvolta somiglia troppo alle frange più estreme degli ultras da stadio. Abbiamo il dovere di assicurare ai nostri lettori il diritto a una corretta informazione, ma abbiamo anche il dovere di non incoraggiarne le pulsioni più violente. Il nostro ruolo sociale ci chiede di contribuire alla maturazione di un’opinione pubblica che cerchi giustizia, non vendetta. E che non invochi la pena di morte, ma la certezza della pena, un maggiore controllo del territorio, l’assistenza alle famiglie delle vittime, percorsi rieducativi reali all’interno delle strutture detentive. Un concetto che valeva quando gli articoli si scrivevano con la “mitica” Lettera 22 e che continua a valere oggi, ai tempi dei social e delle nuove tecnologie, che hanno ridotto le distanze tra lettori e giornalisti, rendendoci senz’altro più informati. Ma anche terribilmente più vulnerabili.

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