Acquacoltura allo Stagnone, opinioni a confronto

Vincenzo Figlioli

Acquacoltura allo Stagnone, opinioni a confronto

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martedì 18 Giugno 2019 - 07:31

Sempre più acceso il dibattito a Marsala sul progetto “Acqua.Sal”. Come raramente avviene in città, sabato scorso c’è stata l’occasione di un confronto pubblico, con il convegno organizzato dal circolo Marsala – Petrosino di Legambiente e dall’amministrazione comunale di Marsala. Come raccontato nelle scorse settimane, si tratta di un progetto dell’assessorato regionale all’agricoltura (dipartimento pesca) che attraverso fondi europei (1,3 milioni di euro) e il supporto di una serie di partner (capofila il Comune di Marsala) si propone l’ambizioso obiettivo di tutelate l’ecosistema della Riserva dello Stagnone scommettendo sull’acquacoltura.

Nell’occasione, alla presenza del dirigente regionale Alfonso Milano, il professore Andrea Santulli (Facoltà di biologia marina del Libero Consorzio Universitario di Trapani) è tornato ad illustrare le finalità del progetto, che intende recuperare l’attività della Salina Genna con un allevamento estensivo di pesce. Le specie ittiche verrebbero alimentate in maniera naturale, attraverso i nutrimenti presenti nella Laguna, senza l’utilizzo di mangimi o pesticidi, sulla falsariga di quanto avviene in altre realtà simili. Santulli ha ribadito che si tratta di un progetto con finalità scientifiche, legato a un’idea di sostenibilità ambientale e distante dall’idea di favorire, nel medio-lungo periodo una riconversione con finalità industriali che mal si concilierebbero con le caratteristiche e il regolamento della Riserva. Tra le voci a favore, anche quella di Legambiente, che si è esposta pubblicamente attraverso la presidente del circolo Marsala-Petrosino, Letizia Pipitone. “Siamo favorevoli a questo tipo di progetto sperimentale, che ci permetterebbe di recuperare una Salina, che è un bene paesaggistico prezioso e di realizzare un laboratorio di ricerca biomarina a Villa Genna – spiega Letizia Pipitone -. Altra cosa sarebbe se, dopo 5 anni, diventasse un’attività di produzione industriale, prospettiva che è stata finora esclusa. Non capisco le posizioni radicali di chi invece non ha nulla da dire sul kite, i chioschi e l’abusivismo. Per quanto ci riguarda, il prossimo appuntamento che proporremo sarà incentrato sulle proposte a tutela della Laguna che abbiamo elaborato”.

Nelle scorse settimane, come si ricorderà, un gruppo di cittadini aveva sottoscritto un documento molto critico sul progetto, chiedendo, in via preliminare, che si procedesse alla valutazione di impatto ambientale. Tra i firmatari di quell’appello anche il dottore Giuseppe Donato, autore di alcune pubblicazioni sullo Stagnone. Rispetto al dibattito di sabato, Donato afferma che “i dubbi che c’erano sono rimasti tutti, soprattutto in merito all’esito del progetto”. Il riferimento è alla possibilità che, nonostante le rassicurazioni avute finora, “Acqua.Sal” possa davvero essere apripista per una riconversione dell’attività di acquacoltura, trasformando la finalità scientifica di partenza per aprire il campo a interessi speculativi. “A volte, pur di non perdere un finanziamento, si possono commettere grossi errori. Non mi sembra il caso di salvare lo Stagnone con l’itticoltura, sarebbe più interessante la riapertura degli antichi canali. Ritengo pertanto – conclude Donato – che il progetto dovrebbe essere rivisitato”.  

Nel corso del dibattito di sabato è intervenuto anche Simone Del Puglia, in rappresentanza del circolo Arci Scirocco: “A conclusione del discorso del professore Santulli ho detto, che pur non mettendo in dubbio l’ecosostenibilità del progetto, ero molto perplesso. Non mi era chiaro quali fossero i possibili benefici di un simile impianto per l’ecosistema dello Stagnone (mi sembrava francamente che non ce ne fossero affatto) ed era evidente che gli uccelli che frequentano la salina sarebbero andati via per effetto dell’attività di acquacoltura, come aveva già detto il signor Sciabica. Ho aggiunto che la soluzione migliore sarebbe, secondo noi di Arci, quella di non realizzare l’impianto e di provvedere a rimuovere il cemento dagli argini del fiume Birgi, ripulire la “bocca” di San Teodoro dai detriti che la stanno poco a poco chiudendo, e sorvegliare adeguatamente la riserva per mettere fine alla pesca di frodo e alle altre attività illegali che spesso si svolgono nella riserva per mancanza di tutela”.

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