Pubblicata l’ultima relazione della Dia: aste, scommesse e giochi on line, i nuovi business della mafia trapanese

redazione

Pubblicata l’ultima relazione della Dia: aste, scommesse e giochi on line, i nuovi business della mafia trapanese

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mercoledì 13 Febbraio 2019 - 18:49

Cinquecentodiciotto pagine per aggiornare il quadro sulla presenza delle organizzazioni criminali sul territorio nazionale. Un lavoro lungo e articolato, quello messo a punto dalla Direzione Investigativa Antimafia, che ha diffuso in queste ore la relazione semestrale relativa al primo semestre 2018, soffermandosi in particolare sui risultati conseguiti nell’attività di contrasto ai sodalizi malavitosi. Il documento fa riferimento anche alla relazione di fine legislatura, approvata esattamente un anno fa dalla Commissione Parlamentare Antimafia, definita “un compendio importante che racconta, in tutta la sua complessità, un quinquennio di indagini sul fenomeno delle infiltrazioni mafiose nel tessuto istituzionale e sociale del Paese”. “La lotta alla mafia necessita, ancora oggi, di una costante attenzione del legislatore, chiamato a confrontarsi con un fenomeno dalla portata globale, che procede in rapida, silente evoluzione”, si legge nella premessa inserita all’interno della relazione della Dia, in cui si evidenzia come sia “sempre più palpabile la forza di condizionamento [da parte delle mafie] dell’intero tessuto economico nazionale ed estero”.

Il documento dedica corposi capitoli, come da tradizione, ai sodalizi malavitosi attivi in Sicilia, Campania, Calabria, Puglia e Basilicata, dedicando ampio spazio anche alle presenze criminali nelle altre regioni italiane, alle organizzazioni straniere e alle attività delle mafie italiane all’estero.

Per quanto riguarda Cosa Nostra, la relazione della Dia evidenzia come “le dialettiche interne alle consorterie palermitane continuano ad influenzare l’intera struttura criminale, sia sotto il profilo della gestione degli affari illeciti più remunerativi, sia con riferimento alla guida dell’organizzazione”.

“Senza dubbio, nel corso degli ultimi anni – si legge ancora – Cosa nostra ha subito qualche indebolimento come organizzazione compatta e unitaria. Ciò, anche per la sotterranea contrapposizione di due correnti: l’una, intransigente ed oltranzista, legata alla “linea Riina” e l’altra, più moderata e meno disposta all’uso non misurato della forza, quella che storicamente ha fatto sempre riferimento al rapporto, quasi aritmetico, tra costi e benefici. Comunque, il vuoto di potere venutosi a determinare pone ora un’esigenza di rinnovamento e di riorganizzazione complessiva della organizzazione, probabilmente non più rinviabile”. Ed è a questo punto che si fa riferimento al più noto tra i latitanti mafiosi, il castelvetranese Matteo Messina Denaro: “Tra le questioni irrisolte si inserisce l’inquadramento della figura di Matteo Messina Denaro. Benché il latitante abbia goduto di rapporti, consolidati, risalenti nel tempo, con uomini d’onore dei mandamenti strategici palermitani, quali quelli di Brancaccio e di Bagheria, gli elementi di vertice del capoluogo regionale, soprattutto dopo l’esperienza corleonese, non sarebbero ora favorevoli ad essere rappresentati da un capo non palermitano, specie quando, come nel caso del latitante di Castelvetrano, egli è chiamato, in primo luogo, come testimoniano recenti attività investigative, continuamente a confermare, in ragione della sua “assenza operativa” dal territorio, il ruolo di leader nella provincia di Trapani”.

A seguire, pubblichiamo integralmente il paragrafo della relazione della DIA dedicata alla presenza mafiosa nel territorio trapanese.

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La provincia di Trapani continua ad essere dominata da Cosa nostra, che monopolizza la gestione delle più remunerative attività illegali e condiziona perniciosamente il contesto socio-economico dell’intero territorio provinciale, avvalendosi di sperimentati modelli operativi, caratterizzati sia da una significativa forza di intimidazione che dell’opera di professionisti e soggetti insospettabili.

In merito, va osservato che l’organizzazione mafiosa trapanese sta subendo un’incessante e sempre più pressante attività di contrasto, prioritariamente finalizzata alla cattura del noto latitante Matteo Messina Denaro. Un’azione che passa innanzitutto per la disarticolazione del reticolo di protezione di cui lo stesso gode da decenni e che viene sviluppata sia sotto il profilo delle indagini giudiziarie, con i conseguenti numerosi provvedimenti restrittivi, sia sotto quello delle investigazioni preventive, realizzate con numerosi e consistenti provvedimenti di sequestro e confisca. Nonostante tale pressione e pur attraversando momenti di criticità, l’organizzazione criminale non presenta segnali di cambiamento organizzativi, strutturali o di leadership. La struttura continua a mantenere la tradizionale unitarietà e gerarchia, disciplinata da regole vincolanti, che le consentono di rimanere fortemente ancorata al territorio d’origine. Strategie tuttora ispirate dal predetto latitante Castelvetranese, il quale continuerebbe a ricoprire, sebbene con progressiva difficoltà, il duplice ruolo di capo del mandamento di Castelvetrano e di rappresentante provinciale di Cosa nostra. Per quanto concerne l’architettura delle consorterie, il territorio della provincia risulta sempre suddiviso in quattro mandamenti mafiosi, che raccolgono 17 famiglie (si tratta del mandamento di Alcamo, articolato nelle 3 famiglie di Alcamo, Calatafimi e Castellammare del Golfo; quello di Castelvetrano, con le 6 famiglie di Campobello di Mazara, Castelvetrano, Gibellina, Partanna Salaparuta/Poggioreale e Santa Ninfa; quello di Mazara del Vallo, che raggruppa le 4 famiglie di Marsala, Mazara del Vallo, Salemi e Vita; ed, infine, quello di Trapani, con le 4 famiglie di Custonaci, Paceco, Trapani e Valderice).

Nel solco della tradizione, la pericolosità di Cosa nostra trapanese continua a manifestarsi anche attraverso le consuete condotte estorsive in danno di imprenditori e commercianti, spesso accompagnate da danneggiamenti ed atti intimidatori di vario genere.

Dagli esiti delle recenti attività d’indagine è, inoltre, emerso che Cosa nostra trapanese, oltre che nei tradizionali comparti economici (quali il movimento terra, le costruzioni edili, la produzione di conglomerati bituminosi e cementizi – con particolare attenzione agli appalti e subappalti pubblici – nonché la grande distribuzione alimentare e la produzione di energie alternative), si è significativamente infiltrata nel settore delle scommesse e dei giochi on-line, nonché nel business delle aste giudiziarie legate a procedure esecutive e fallimentari, potendo far leva sul capillare controllo del territorio con il tradizionale e sistematico ricorso all’intimidazione e all’assoggettamento. In merito, in data 13 marzo 2018, la Direzione Investigativa Antimafia e i Carabinieri, a conclusione di due parallele attività d’indagine181, hanno congiuntamente dato esecuzione, con l’operazione denominata “Pionica”, all’ordinanza di applicazione di misure cautelari nei confronti di 12 soggetti (tra i quali il capo della famiglia di Salemi e quello della famiglia di Vita, nonché un noto imprenditore alcamese operante nel settore dell’energia eolica), a vario titolo indagati per concorso in associazione mafiosa, estorsione e intestazione fittizia di beni aggravata dalle modalità mafiose. Contestualmente, è stato eseguito anche il decreto di sequestro preventivo di tre società, delle quali una con sede a San Giuseppe Jato (PA) e due a Vita (TP), per un valore di circa 1,5 milioni di euro. Le indagini hanno approfondito, tra l’altro, le infiltrazioni di Cosa nostra trapanese negli investimenti immobiliari relativi a terreni agricoli posti all’asta nell’ambito di procedure esecutive. Nello specifico, si è dimostrato che le citate famiglie mafiose di Vita e di Salemi, entrambe appartenenti al mandamento di Mazara del Vallo, avevano avuto un ruolo centrale nella gestione di una significativa operazione di speculazione immobiliare, realizzata attraverso l’acquisto, ad un’asta giudiziaria, di una vasta tenuta agricola e la sua successiva rivendita ad una società agricola di San Giuseppe Jato, vicina ad ambienti mafiosi locali. Le attività hanno altresì permesso di ricostruire, con riferimento ad una delle citate tre società sequestrate, gli interessi ed i correlati notevoli investimenti nel settore della silvicoltura. Nel giugno del 2013 la società aveva, infatti, realizzato in provincia di Trapani una prima piantagione di Paulownia, un albero che si contraddistingue per la rapidità di crescita e la qualità del legno, ideale anche per la produzione di biomasse. Finalità dell’impresa – con l’esclusiva per la vendita in Sicilia di un clone della pianta – era quella di avviare un lucroso progetto che prevedeva la realizzazione nella provincia di un’ulteriore e ben più ampia piantagione.

Il successivo 19 aprile 2018 la DIA, la Polizia di Stato e l’Arma dei carabinieri, a conclusione di una vasta attività d’indagine, hanno dato esecuzione, nell’ambito dell’operazione congiunta “Anno Zero”, al decreto di fermo d’indiziato di delitto nei confronti di 22 soggetti, a vario titolo indagati per associazione di tipo mafioso, estorsione, danneggiamento, detenzione di armi ed intestazione fittizia di beni, reati aggravati dalle modalità mafiose.

Tra i destinatari del provvedimento restrittivo figurano il latitante Matteo Messina Denaro e due suoi cognati – uno dei quali investito del ruolo di reggente del mandamento di Castelvetrano – il capo del mandamento di Mazara del Vallo e quello della famiglia di Partanna, nonché un imprenditore di Castelvetrano operante nel settore dei giochi on-line. Nel medesimo contesto operativo sono state sottoposte a sequestro preventivo 5 imprese, con sede a Castelvetrano, del valore di oltre 200 mila euro. Le investigazioni hanno documentato le dinamiche associative dei mandamenti mafiosi di Castelvetrano e di Mazara del Vallo ricostruendo, in particolare, parte dell’organigramma delle famiglie mafiose di Castelvetrano, Campobello di Mazara, Partanna e Mazara del Vallo. È stato, inoltre, documentato il capillare controllo economico-criminale del territorio, attuato anche attraverso le estorsioni in danno di imprenditori economici dell’area. Le indagini hanno, altresì, rivelato l’esistenza, in seno al mandamento di Castelvetrano, di accese interlocuzioni per la spartizione dei proventi illeciti, tra esponenti della famiglia di Campobello di Mazara e quella di Castelvetrano, per dirimere le quali si sarebbe resa necessaria la forte presa di posizione del cognato di Matteo Messina Denaro. Tale scenario avrebbe, peraltro, fatto da sfondo all’omicidio avvenuto a Campobello di Mazara il 6 luglio 2017: dopo un lungo periodo in cui nella provincia di Trapani non si registravano omicidi riconducibili a Cosa nostra è stato, infatti, ucciso, in un agguato tipicamente mafioso, un soggetto all’epoca sottoposto ad indagini, in quanto indiziato di far parte della famiglia di Campobello di Mazara. Dalle indagini è emerso che la vittima era colui che, tra tutti i componenti della famiglia di Campobello di Mazara, aveva manifestato maggiori critiche e perplessità sul comportamento del cognato del latitante, vertice pro tempore del mandamento di Castelvetrano. Nell’ambito delle attività è stata registrata l’ascesa, non priva di contrasti, del capo del mandamento di Mazara del Vallo, così come sono stati evidenziati gli attriti tra i diversi mandamenti per la gestione mafiosa del parco eolico di Mazara, in corso di realizzazione.

Ancora una volta non è mancato l’uso dei “pizzini”, dai quali – insieme ad una serie di conversazioni intercettate – traspare la “presenza” del latitante sul territorio. In particolare, tale consolidata forma di comunicazione mafiosa viene utilizzata come strumento per dirimere controversie, risolvere questioni di interesse dell’organizzazione criminale, impartire ai sodali regole di comportamento e disposizioni, nonché per attribuire i ruoli all’interno delle consorterie della provincia. Grazie all’indagine “Anno Zero” è stato dimostrato come il latitante castelvetranese sia ancora oggi l’unico soggetto a cui è necessario rivolgersi per dirimere controversie interne al sodalizio mafioso. Lo stesso, al fine di assicurarsi il costante controllo delle attività illecite e dei relativi proventi, sembra ancora prediligere appartenenti alla propria cerchia familiare, o comunque persone a lui vicine, nei ruoli di vertice dell’organizzazione mafiosa. E’, quindi, ancora confermata la fedeltà dei membri dell’organizzazione nei confronti del citato latitante. Non da ultimo, l’attività investigativa in parola ha anche documentato l’interesse di Cosa nostra per il remunerativo settore dei giochi e delle scommesse on-line. È stato, infatti, dimostrato come l’espansione di una rete di oltre 40 agenzie di scommesse e punti gioco facenti capo ad un giovane imprenditore castelvetranese fosse avvenuta, sia nella provincia di Trapani che nel palermitano, grazie al supporto della famiglia mafiosa di Castelvetrano: questa gli avrebbe garantito protezione nei confronti degli altri sodalizi criminali delle provincie di Trapani e di Palermo in cambio di periodiche dazioni di denaro, dirette sia al sostentamento del circuito familiare del latitante che all’organizzazione mafiosa nel suo complesso. Nello stesso contesto investigativo, il 18 maggio 2018 la DIA ha eseguito un decreto di sequestro preventivo nei confronti del sopra citato imprenditore, per un valore complessivo di circa 400 mila euro. Per quanto concerne l’aggressione ai patrimoni illeciti, nel semestre di riferimento, la locale Sezione della DIA ha inoltre proceduto al sequestro e alla confisca di beni riconducibili ad esponenti di rilievo della locale realtà criminale, tra i quali anche parenti o soggetti vicini a Messina Denaro. In particolare, in data 16 gennaio 2018 è stata data esecuzione ad una confisca di beni (numerose unità immobiliari, tra locali commerciali, appartamenti, rimesse, terreni, nonché cinque aziende, quote di partecipazione in società di capitali, vari conti bancari e polizze assicurative), per un valore di circa 25 milioni di euro, nei confronti di un imprenditore, originario di Campobello di Mazara (TP), operante nei settori turistico-alberghiero e del commercio di autoveicoli. Nei suoi confronti è stata anche disposta la sorveglianza speciale di p.s. per la durata di due anni.

Il 23 gennaio 2018 è stato eseguito, un decreto di sequestro di beni, per un valore di circa 400 milioni di euro, nei confronti di un imprenditore di Mazara del Vallo.

Il successivo 11 maggio si è, poi, proceduto al sequestro di un patrimonio del valore di 1 milione di euro, intestato ad una nipote di Messina Denaro. In data 6 giugno 2018, nell’ambito di un procedimento di prevenzione che, nel novembre 2017, aveva già consentito il sequestro di beni per 10 milioni di euro, la DIA ha proceduto all’esecuzione di un ulteriore sequestro, questa volta del marchio di una società produttrice di olio d’oliva. Il decreto ha colpito un commerciante internazionale d’opere d’arte e reperti di valore storico–archeologico, originario di Castelvetrano, già titolare di imprese operanti in Sicilia nei settori del cemento e dei prodotti alimentari. Per oltre un trentennio lo stesso aveva accumulato ricchezze con i proventi del traffico internazionale di reperti archeologici, molti dei quali trafugati nel sito archeologico di Selinunte da tombaroli al servizio di Cosa nostra, in particolare del noto boss mafioso Francesco Messina Denaro, padre del latitante Matteo. L’attività di contrasto ai patrimoni mafiosi messa in atto dalla DIA si affianca a quella delle Forze di polizia. Nell’ordine, in data 10 febbraio 2018, i Carabinieri hanno dato esecuzione al decreto di confisca di beni (tre società attive nel settore oleario, oltre a numerosi immobili e diversi fabbricati industriali, macchine agricole, conti correnti e polizze assicurative) riconducibili a un imprenditore di Castelvetrano, il cui valore complessivo ammonta a circa 4 milioni di euro. L’11 giugno 2018, ancora i Carabinieri hanno dato esecuzione al decreto di confisca dei beni riconducibili a 2 imprenditori di Castelvetrano, zio e nipote, operanti nel settore dei rifiuti, ritenuti prestanome dell’organizzazione capeggiata dal noto latitante, del valore complessivamente stimato in circa 3 milioni di euro. Il successivo 13 aprile, ancora i Carabinieri hanno dato esecuzione al decreto, con il quale è stata disposta la confisca di un’unità immobiliare sita in Mazara del Vallo e svariati rapporti bancari e assicurativi, riconducibili al nucleo familiare del fratello del noto RIINA Salvatore, stimati complessivamente in circa 600 mila euro.

Il 7 giugno, invece, la Polizia di Stato e la Guardia di finanza hanno dato esecuzione a due decreti di sequestro, nei confronti, tra l’altro, del figlio di un defunto capo del mandamento di Mazara del Vallo, il cui valore complessivo ammonta a circa 3 milioni di euro. Tra i beni sequestrati figurano diverse società (tra le quali due operanti nel settore della commercializzazione dei prodotti ittici, ed altrettante rispettivamente nel settore dello smaltimento dei rifiuti ed in quello edile) e numerosi immobili, automezzi, rapporti bancari e diverse partecipazioni societarie. Considerato il rischio, più volte in passato concretizzatosi, dell’importante apporto che alcuni soggetti già detenuti per associazione di tipo mafioso potrebbero ulteriormente fornire una volta scarcerati, è anche doveroso segnalare che nel semestre è intervenuta la scarcerazione, al termine di una prolungata detenzione, di due parenti di Matteo Messina Denaro, nonché di un noto soggetto mafioso, già capo della famiglia di Castellammare del Golfo. Per quanto nel semestre di riferimento non siano stati adottati, nella provincia, provvedimenti di scioglimento di Enti locali, non può essere trascurata la capacità di Cosa nostra trapanese di porre in essere azioni di infiltrazione e di condizionamento della Pubblica amministrazione. A tal proposito, è ancora attiva nel semestre, la gestione straordinaria del Comune di Castelvetrano, sciolto in data 6 giugno 2017 ed affidata, per un periodo di diciotto mesi, all’apposita Commissione, per accertati condizionamenti da parte della criminalità organizzata. Sul fronte degli stupefacenti, non si segnalano, per il periodo in esame, investigazioni che abbiano visto il coinvolgimento diretto dell’organizzazione mafiosa. Ciononostante, lo spaccio di sostanze stupefacenti, segnatamente hashish e marijuana, ma anche cocaina ed eroina, realizzato da gruppi criminali minori, continua a destare un certo allarme sociale, assieme ai reati predatori. Si segnala, altresì, la presenza di alcuni gruppi delinquenziali stranieri, impegnati nelle attività illecite connesse al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ed al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, come acclarato a seguito di due recenti attività d’indagine condotte, nel 2017 e nel 2018, dalla Guardia di finanza, denominate “Scorpion Fish” e “Scorpion Fish2”. Il filone investigativo concluso nel semestre, precisamente nel mese di aprile, ha portato all’arresto – disposto dalla Procura della Repubblica di Palermo – Direzione Distrettuale Antimafia – di 30 soggetti appartenenti a due associazioni per delinquere operanti tra la Tunisia e la Sicilia, e composte da cittadini di entrambi i Paesi.

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