Bambini per sempre

redazione

Marsala

Bambini per sempre

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martedì 28 Maggio 2019 - 06:20

Da quando è uscito il primo pezzo di MammAvventura, un po’ di gente mi sta a guardare in attesa che dica qualcosa di buffo sulla mia esperienza di mamma. O di ironico. Insomma, qualcosa che faccia ridere.

Magari prendo un Margarita con le amiche e ci si aspetta che, tutto ad un tratto, venga fuori la vena ironica del mio personaggio. Qualcosa tipo: sorso di Margarita e poi battuta. “Mia figlia oggi mi ha chiesto: Mamma, ma se mordo il lecca lecca allora diventa un mordi mordi?” (ridono tutti, altro sorso di Margarita, brindisi).

La maternità, però, non sempre è una cosa buffa. Anzi, a volte essere mamma, gestire uno o più figli, mandare avanti una casa, una famiglia, lavorare a tempo pieno o non lavorare affatto, non è una cosa che fa ridere. Non sempre, almeno.

Soprattutto oggi. Oggi che il lavoro non c’è. Oggi che il tempo non c’è. Oggi che l’educazione non c’è. Oggi che in giro c’è tanta paura.

Tutto questo, se ci penso bene, non mi fa ridere per nulla.

Non mi fa ridere che mia figlia si prepari per andare a mare indossando il costumino e le ciabattine nuove, la crema protettiva e quella dopo sole, le palette e il secchiello per giocare sulla spiaggia, i braccioli per galleggiare in mare. In quello stesso mare dove tanti altri bimbi non sono riusciti a rimanere a galla.

Non mi fa ridere che seguire un telegiornale sia diventato un continuo sentirsi impotenti con un nodo alla gola.

Non mi fa ridere che un bidello ammazzi a bastonate un gattino davanti ad un’intera classe di bambini che, a casa, avranno raccontato l’accaduto con l’orrore negli occhi.

Non mi fa ridere che una professoressa non possa insegnare ai propri alunni a studiare la storia e analizzare il presente con senso critico e libertà di pensiero ed espressione.

Non mi fa ridere che non ci si possa fidare della propria migliore amica. O del proprio padre. Che il mondo fuori sia così cattivo.

Non mi fa ridere tutta questa violenza inaudita e, sempre più spesso, scontata. Questa ignoranza che regna dappertutto. Questo razzismo che si dilegua come una chiazza d’olio su un pezzo di Scottex.

Non mi fa ridere che il tizio in auto davanti a me butti una carta fuori dal finestrino, con spensieratezza e senza alcuno scrupolo.

Ma, soprattutto, non mi fa ridere la rassegnazione, la testa bassa, la paura di reagire, la paura di fare.

La guardo mentre dorme, mia figlia. Mi sembra bellissima, nel modo in cui sono belli tutti i figli per le proprie mamme. La osservo e penso che le sto lasciando in eredità un mondo cattivo, sporco, violento, indifferente. Le sto lasciando il peggio di quello che avrei sperato per lei. Le sto lasciando tristezza, solitudine, bimbi che crescono davanti ad un tablet e genitori che si parlano tramite Facebook, fra un selfie e l’altro.

La guardo con tristezza e mi convinco che per salvarla da tanta rassegnazione, devo regalarle speranza. Devo lasciarle onestà. Devo insegnarle il valore della lealtà.

Devo spiegarle che se un bimbo cade, non deve deriderlo. Ma dovrà porgergli una mano per farlo rialzare. Devo dirle che se un avversario perde una sfida, dovrà ricordargli che potrà vincere la prossima volta. Devo insegnarle che se le cade un fazzoletto dalla tasca del giubbotto, allora dovrà chinarsi a prendere la carta da terra. Dovrò insegnarle che i compagni di classe sono tutti uguali. Che non ci sono belli e brutti. Ricchi e poveri. Neri e rosa. Simpatici e antipatici.

Continuo a guardarla e penso che, in realtà, l’unico insegnamento che devo lasciarle in eredità è di mantenersi sempre bambina dentro: speranzosa, curiosa, desiderosa di conoscere e scoprire quello che la circonda, ingenua e senza malizia, pronta a stupirsi per il volo di una farfalla, pronta a ringraziare per un pezzetto del suo cioccolato preferito. Pronta a combattere per le sue ragioni. Un po’ come quando mi chiede le patatine prima di cena ed io le dico no. No e ancora no. E lei, imperterrita e coraggiosa, e anche un po’ ottimista, continua a lottare per la sua “giusta” causa.

Questo, in effetti, un po’, mi fa sorridere.

Michela Albertini

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