Eccellenze siciliane: si racconta Antonella Bertolino, l’ingegnere informatico premiata da Facebook

redazione

Eccellenze siciliane: si racconta Antonella Bertolino, l’ingegnere informatico premiata da Facebook

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sabato 23 Novembre 2019 - 06:48

Fra le eccellenze marsalesi di certo spicca l’ingegner Antonella Bertolino, ex alunna del Liceo Scientifico, sezione A, fiera di essere nata nell’estrema punta occidentale dell’isola come essa stessa ama definire la finis terrae che le ha dato i natali. Una donna colta, fiera, premiata dal Colosso dei Social, per essere riuscita a creare un “metodo” che farà risparmiare tempo e denaro anche a Facebook

Lei è donna ed ingegnere, un cammino apparentemente difficile da intraprendere anche oggi stando ai dati che non vedono, nei settori tecnologici, molti progressi da parte delle donne. Perché, lei, dottoressa Bertolino, nel 1978, scelse proprio la facoltà di ingegneria?

La mia è stata forse una scelta un po’ incosciente ma anche pragmatica. Sono sempre stata amante delle sfide . Andavo al Liceo Scientifico di Marsala ed ero molto studiosa. Amavo molto la Matematica e la Fisica e mi piaceva l’idea di andare a studiare a Pisa. Non volevo però diventare professoressa e allora scelsi ingegneria che mi avrebbe aperto tante strade.

E in ingegneria come è andata?

Forse il fatto di essere donna ha influito per la scelta di “Ingegneria calcolatori” perché la vedevo un po’ più logica come tipo di attività. Esclusi subito quella edile e quella Aeronautica.

Per calcolatori, in quegli anni, si intendevano i computer?

Quando mi sono iscritta io, nel 1978, non esisteva ancora Ingegneria Informatica. Esisteva da pochi anni a Pisa, ed era un’esclusiva, la facoltà di Informatica. Pisa è stata la culla di questa materia in Italia, così come la culla di Internet. Allora era composto da professori dell’Università che lavoravano anche nei laboratori di questo Centro di Ricerche.

E’ avvenuto a Pisa il primo collegamento ad Internet, vero?

Sì, nel 1986, il 30 Aprile. Da Pisa ci fu il collegamento con l’America. Poche parole che significarono l’inizio di quello che vediamo adesso.

Dottoressa Bertolino, quando ha capito che voleva fare ricerca?

Mentre frequentavo ingegneria ho capito che volevo fare questo grazie alla mia mentalità molto scientifica.

Lei si occupa di ingegneria del software, ci vuol dire cosa vuol dire esattamente?

Le faccio un esempio, così è più semplice capire. Per costruire un palazzo c’è bisogno di un progetto fatto da un ingegnere mentre per tirarlo su’ fisicamente, c’è bisogno dei muratori. La stessa cosa riguarda il nostro settore. L’ingegneria del software riguarda la progettazione, mentre “ i muri”, cioè i codici, competono al programmatore. Io sono l’ingegnere che fa il progetto o meglio, faccio ricerca su come fare meglio e bene , il progetto. Io non scrivo i codici per i telefonini o le lavatrici.

In un’intervista però è venuto fuori questo.

Lo so e in realtà è stato travisato il mio concetto

Prima il progetto e poi la realizzazione, diceva. E’ quasi un passaggio obbligato, no?

Prima di scrivere i codici devi avere dei processi che ti dicono come fare a realizzarli, un po’ come le normative da rispettare quando si fa un ponte o un palazzo, per tornare all’esempio pratico.

In pratica, lei crea le normative?

Noi ingegneri del software ci occupiamo di capire quali possano essere le procedure, i processi, le norme, per poter scrivere meglio il codice, ecco. Oggi esistono molti strumenti che ti aiutano a sviluppare questo.

Ovvero?

Oggi scrivere il codice equivale a mettere insieme dei pezzi e a fare una costruzione molto complessa. Il codificatore che prima si metteva a scrivere riga per riga il codice stesso, oggi utilizza strumenti che già gli danno l’intelaiatura. Utilizza delle “librerie”, insomma e quindi può fare dei richiami, semplificandosi il lavoro.

E’ dunque più semplice oggi scrivere un codice?

No, non è più semplice. E’ più complesso perché oggi il software va a interagire con tante cose.

Con cosa, ad esempio?

Con altri software innanzitutto anche perché è tutto collegato. Quindi quando uno sviluppa dei codici deve anche stare attento a capire quali problemi non previsti possono essere creati.

Problemi per chi, dottoressa? Per l’utente che ne usufruisce oppure per voi che li create?

Problemi per gli utenti, ovvio.

Da cosa è provocato questo?

Deriva dal fatto che oggi magari un’app scaricata non va in conflitto con nessun’altra app ma magari, poi, un’altra app ha fatto un aggiornamento e va ad interferire con l’altra app del telefonino e dunque non la fa funzionare bene. E fin qui, non succede nulla di irreparabile. Come sempre, se il computer o il telefonino sono impallati, solitamente basta spegnerli o riaccenderli e tutto si risolve ma a volte, un conflitto può causare danni.

Dove, per esempio?

Ci sono software che guidano i treni, come ad esempio alla Metropolitana di Parigi che è senza guidatore, assistono nella guida di un aereo, controllano i macchinari medici a cui i malati sono collegati e magari da questi sono tenuti in vita. Comprende bene che un guasto non è tollerabile.

Un po’ come il guasto nel software dei Boing 737 che avrebbero provocato le tragedie aeree di Giacarta ed Etiopia, dove tra l’altro, a Nairobi, è morto l’archeologo Tusa?

Prima di decidere che sia stato questo la causa delle due tragedie aeree, come sempre, saranno fatte delle inchieste. Non è così semplice capire. Si tratta di programmi così complessi che non è facile individuare quale e dove sia il problema. Anche nel caso degli aerei “difettosi” saranno fatti tutti gli accertamenti per stabilire che sia davvero così. Ci sono dei casi del passato, in cui si è accertato che si trattava di errori che con un test semplice si sarebbero potuti scoprire i difetti anche se è facile dirlo a posteriori. Il problema del testing è che tante volte diamo per scontato che le cose continuino a funzionare e invece non è così. Quando utilizziamo un certo software da un’altra parte e diamo per scontato che funzioni, dovremmo nuovamente collaudarli perché basta poco a cambiare il comportamento di un software.

E lei si occupa di questo?

Sì, noi facciamo questo. Noi forniamo delle metodologie sistematiche tramite le quali si possono prevenire problemi di questo tipo. Io mi occupo di collaudi del software che viene chiamato nello specifico testing del software. Ed è questo il motivo per cui io ho vinto l’award.

Vuol parlarcene?

Questo progetto che mi ha fatto vincere, rende meno costoso il testing di grandi progetti software. Come premessa le dico che il collaudo del software costa tanto. Chi sviluppa software ha fretta di rilasciare il prodotto. Le aziende misurano solitamente il time to market, ovvero il tempo che ci vuole a sviluppare il software. Tenga presente che bisogna stare sempre sul mercato con prodotti nuovi. Per poter fare questo, è necessario che si accorcino tutti i tempi e anche quello riguardante il testing che solitamente richiederebbe, da solo, tantissimo tempo. Sulla carta è possibile farlo ma è difficile riprodurre quello che veramente succederà nella pratica. Il testing è la prova pratica. Per verificare tutto ci vuole molto tempo, per questo occorre una strategia per accorciare i tempi e questo è quello di cui mi occupo io.

Dunque lei realizza prove per accorciare il testing?

Sì, tenga conto che a volte le prove possono essere misleading “ingannevoli”. A volte segnalano dei guasti ma non è detto che siano imputabili al software.

Da cosa dipendono, dottoressa Bertolino?

Dipendono dal fatto che il software a volte è molto complesso e la configurazione in cui la proviamo a volte può dare errori che non esistono nel software.

Come si fa a discernere allora?

Per capire se c’è davvero un errore o se mi sta ingannando perché è un test “Frail” che in italiano significa fragile, dovrebbero essere fatte tante prove, dieci o venti, minimo, con costi molto elevati. Facebook per questo aveva lanciato questo bando per proposte di progetto proponendo alcune tematiche una delle quali era questa: come ridurre l’impatto di questi “test fragili”.

Ci dica, come avete fatto?

E’ un po’ l’uovo di Colombo. E’ un’idea in teoria semplice che però nessuno aveva avanzato. Dalle prove che abbiamo fatto, però funziona. In linea teorica non si può affermare che un test sia Frail. Quello che noi facciamo è vedere se un test somiglia ad un altro che è già stato appurato sia Frail, anche perché esiste un data base a cui rifarsi. Per fare questo noi facciamo dei confronti statici fra i due test prima ancora di eseguire il test vero e proprio che verifica il buon funzionamento del software. Statico è anche nel titolo del mio programma così come flaky.

Avviene dunque una sorta di comparazione con quel test di cui è già appurato che sia “Frail”, giusto?

Sì, ha capito benissimo. L’idea sembra banale ma non lo è. Si tratta di compararlo per risparmiare tempo e denaro. Tenga però conto che nella scienza non si può andare avanti con teoremi. Può essere che uno faccia una congettura che poi si rivela non applicabile nella realtà. Per questo abbiamo fatto molte verifiche arrivando a predire con almeno l’85% di possibilità se un test era Frail o meno. L’idea è piaciuta a Facebook perché loro, prima ancora di eseguire il test, hanno con buona approssimazione una predizione. Tenendo conto di questo diciamo che possono prevenire un problema e quindi risparmiare un sacco di soldi.

Lei ha una mente matematica e da questo punto di vista, è agevolata. Ha fatto studi scientifici quasi come percorso obbligato. Un giovane che volesse seguire le sue orme che tipo di studi dovrebbe intraprendere?

Io ho avuto dei colleghi provenienti dal Liceo Classico che erano bravissimi. Anche se si proviene da studi umanistici, si può diventare ingegneri o matematici. Quella che conta è la logica. Al classico si insegna questo, appunto. E comunque l’informatica non è solo un settore da uomini.

Noi italiani risultiamo fra i popoli più connessi del Pianeta. I social sono diffusissimi anche fra i giovanissimi, e fra i bambini. Ma internet lo sappiamo davvero utilizzare? Ne conosciamo davvero i rischi e le potenzialità?

Secondo me bisognerebbe formare bene i giovani su questo, sui rischi soprattutto. Quello che manca è la conoscenza sui rischi della privacy violata e sulla sicurezza. Questi ragazzi che già a 11 anni sono su facebook , mandano in giro foto, proprie informazioni, non si rendono conto che mettono a rischio anche il futuro.

Perché, dottoressa?

Le immagini e le informazioni restano per sempre. Ci sono stati giovani rifiutati in un colloquio per aver postato cose non gradite al potenziale datore di lavoro. Senza contare che ci può essere un cattivo utilizzo di queste foto che possono finire ovunque,anche in siti pericolosi. Bisogna rendersi conto che tutto quello che viene rilasciato in rete e reso pubblico, rimane per sempre. E’ difficile poi toglierlo. Noi in inglese lo chiamo “right to be forgotten”, ovvero il diritto di essere dimenticati. Oggi non è possibile farlo. Puoi chiudere il tuo profilo facebook ma se qualcuno aveva condiviso la foto o l’aveva conservata e può a sua volta rimetterla in rete. E’ un errore scambiare facebook per un diario segreto. Un po’ di alfabetizzazione non farebbe male, anche agli adulti sui pericoli di questi strumenti che possono essere di grande aiuto perché sono mezzi potenti ma anche potenzialmente pericolosi.

Secondo lei quali saranno i mestieri del futuro?

In questo momento, i settori che vanno molto avanti nella ricerca informatica sono quelli che riguardano l’applicazione dell’intelligenza artificiale in tutte le possibili branche in cui c’è bisogno di una computazione, prendere una decisione oppure per capire un fenomeno. I computer vengono adoperati per capire i fenomeno che avvengono nella realtà e che noi umani non riusciremmo forse a capire subito perché non abbiamo immediatamente la possibilità di analizzare milioni di dati come fa appunto un computer. Sicuramente ci sarà sempre più bisogno di persone che applicheranno queste metodologie per l’analisi dei dati per applicarli a qualsiasi settore dell’attività umana.

Ci può fare un esempio?

In America, alcuni giudici per capire le casistiche criminali utilizzano questi sistemi. Ad un medico può servire per fare una diagnosi anche perché un computer analizza milioni di casi avvenuti nel mondo. Come vede, uno dei mestieri futuri è proprio questo.

Tiziana Sferruggia

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