Frodavano le assicurazione spaccando le ossa a indigenti e disabili: 34 fermi tra Palermo e Trapani

redazione

Frodavano le assicurazione spaccando le ossa a indigenti e disabili: 34 fermi tra Palermo e Trapani

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lunedì 15 Aprile 2019 - 17:13

Simulavano incidenti per farsi risarcire dalle assicurazioni. Una vera e propria associazione a delinquere finalizzata alle frodi assicurative tramite la mutilazione di soggetti complici è stata scoperta tra le province di Palermo e Trapani. In ragione di ciò, la Polizia di Stato ha eseguito un provvedimento di fermo di indiziato di delitto, emesso dalla Procura della Repubblica di Palermo, nei confronti di 34 soggetti accusati di fare parte di tale organizzazione.

La misura restrittiva eseguita oggi raccoglie i frutti delle indagini che già lo scorso 8 agosto avevano portato la Procura di Palermo ad emettere un primo decreto di fermo, noto alle cronache come operazione “Tantalo”, eseguito dalla Squadra Mobile di Palermo, che aveva portato in carcere 12 persone, indiziate di avere dato vita ad un gruppo criminale specializzato nell’organizzazione di truffe assicurative messe in atto simulando sinistri stradali. Nei sinistri messi in scena la parte principale era recitata da soggetti che vi figuravano come parti lese, persone per lo più di giovane età, adescate tra disoccupati al limite della povertà, tossicodipendenti, affette da problemi di alcolismo e ritardi psichici, che dietro compenso accettavano di farsi rompere le ossa e partecipare alle truffe.

Analoga attività di indagine sul medesimo sistema criminale delle frodi assicurative realizzate attraverso mutilazioni è stata svolta dalla Squadra Mobile di Trapani, che ha condotto mirate indagini, partite da un episodio occorso lo scorso 24 gennaio 2018, quando un falso sinistro era costato un’invalidità permanente ad una “vittima compiacente” di Custonaci.

Le indagini hanno portato alla luce un vasto e ben strutturato gruppo criminale, che aveva messo in piedi un sistema ramificato sul territorio, che operava in più quartieri di Palermo, secondo un modus operandi tipico. I membri dell’associazione rispondevano ciascuno ad un ruolo ben definito, agendo ognuno ai vari livelli del sistema criminale, con ruoli e mansioni ben definiti. Alla base, c’erano gli associati incaricati di cooptare le potenziali “vittime” dei falsi sinistri, ricercandoli in contesti cittadini caratterizzati da degrado e povertà, dove avvicinavano gli emarginati, in pessimo stato economico e spesso colpiti da ritardi psichici o da tossicodipendenza, per meglio riuscire nell’intento di carpirne facilmente il consenso a prestarsi alle fratture ossee e allo stesso tempo disinnescare o quantomeno limitare, le loro successive richieste di denaro. Alle “vittime” infatti, inizialmente venivano promesse significative quote dei risarcimenti delle assicurazioni, quote successivamente non corrisposte, oppure corrisposte solo in parte.

Peraltro, ad ulteriore conferma della spregiudicatezza dei sodali, sono emersi vari episodi di cessione di sostanze stupefacenti ad alcune vittime consenzienti tossicodipendenti, indotte in tal modo a prestarsi senza riserve agli spietati propositi degli spaccaossa.

Ottenuto l’assenso delle “vittime”, la gestione del sinistro veniva assunta dagli associati incaricati di ricostruire la scena del sinistro predisponendo fisicamente i mezzi sui luoghi e reclutando alla causa i soggetti disposti a fornire le false informazioni testimoniali, anch’essi dietro promessa di una successiva parte del risarcimento.

Costruita la “sceneggiatura” del falso incidente, le “vittime compiacenti” venivano trasportate in locali nella disponibilità dei malviventi, appartamenti o magazzini, per essere affidati alle “cure” dei sodali più violenti e pericolosi, gli “spaccaossa”, incaricati della spaventosa fase della frattura delle ossa dei malcapitati.

Estremamente collaudato risultava, in tal senso, il metodo utilizzato dagli associati: le “vittime” venivano blandamente anestetizzate con del ghiaccio o con farmaci, gli arti appoggiati in sospensione tra due blocchi di pietra o cemento, poi veniva lanciata con violenza, sulla parte dell’arto sospesa, una borsa piena di pesi in ghisa o di grosse pietre, in modo da provocare fratture nette, e possibilmente scomposte (poiché produttive di un più ingente risarcimento).

Le “vittime”, in preda a lancinanti dolori, venivano trasportati presso gli ospedali cittadini, all’interno dei quali la gestione della frode passava nelle mani di altri sodali, che si facevano carico di vigilare sui ricoverati per provvedere alle loro necessità, ma ancor più per evitare che qualcuno potesse recedere dall’originario intento, magari denunciando i fatti alle forze dell’ordine.

Dopo il ricovero dei fratturati, si apriva la fase amministrativa e burocratica dell’istruzione della pratica assicurativa entrando in scena i vertici dell’associazione, che curavano la presentazione delle richieste di risarcimento presso le compagnie assicurative e la successiva suddivisione delle “quote” del premio da liquidare. In questa fase peraltro poteva trovare spazio talvolta la cessione della pratica assicurativa, completa degli atti peritali e dei referti medici, ad altri soggetti ritenuti membri di vertice dell’associazione criminale, che acquistavano la pratica liquidando al “venditore” una quota, così da assumere in prima persona la gestione della fase risarcitoria.

All’indomani dell’esecuzione del fermo dello scorso agosto, le investigazioni proseguivano avvalendosi delle risultanze delle attività tecniche, delle dichiarazioni rese da altre e sempre più numerose “vittime compiacenti” e delle propalazioni di alcuni soggetti, sottoposti a fermo nella prima operazione “Tantalo”, che decidevano di collaborare con gli inquirenti e facevano luce su ulteriori retroscena di quel sistema delinquenziale già investigato.

In particolare, le ulteriori indagini delineavano una struttura criminale in cui emergeva preponderante il ruolo ricoperto dai sodali incaricati della gestione della fase burocratica e tecnica delle frodi, una volta che gli “spaccaossa” avevano portato a compimento le rotture. I vertici della consorteria colpita dal Fermo odierno sono individuati in Carlo e Gaetano Alicata, padre e figlio, Filippo Anceschi, Salvatore Arena detto “Mandalà”, l’avvocato Graziano D’Agostino, il perito assicurativo Mario Fenech, Gioacchino Campora detto “Ivan”, Salvatore Di Liberto, Vittorio Filippone, i fratelli Alessandro e Natale Santono, Alfredo detto “Lello” Santoro, Piero Orlando detto “SH”, Vincenzo Peduzzo, Salvatore Di Gregorio, Domenico detto Emanuele Schillaci e Giovanna Lentini. A ciascuno di loro viene riconosciuto un ruolo apicale: finanziare le frodi per le quali anticipavano le spese occorrenti e della suddivisione tra i complici delle quote derivanti dai risarcimenti assicurativi e provvedevano all’eventuale “cessione” a terzi delle pratiche assicurative relative alle truffe.

Alla rottura delle ossa erano deputati altri complici, “specializzati” nell’infliggere le fratture alle “vittime” non meno che nella predisposizione di quanto occorreva a inscenare il sinistro stradale; tra questi figurano Giuseppe Di Maio detto “fasulina”, Antonino Giglio detto “Tony u’ pacchiune”, Gesuè Giglio, Alfredo detto “Lello” Santoro, Cristian Pasca.

Il gruppo criminale poteva avvalersi pure dell’opera di sodali incaricati di predisporre con cura la scena dei falsi sinistri, reperendo i veicoli da utilizzare, reclutandone i conducenti, e assoldando gli eventuali testimoni. Una volta realizzata la scena del finto incidente questi associati si occupavano anche dell’assistenza medica delle “vittime” fratturate controllando che non si sottraessero agli impegni presi con l’associazione. Questi i loro nomi: Vincenzo Cataldo, Monia Camarda, Orazio Falliti, Gaetano Girgenti, Alfonso Macaluso, Benedetto Mattina, Giuseppe Mazzanares, Maria Mazzanares, Rita Mazzanares, Salvatore Mazzanares, Giuseppa Rosciglione, Mario Modica, Antonino Saviano, le sorelle Maria e Letizia Silvestri.

I risultati raggiunti dalle Squadre Mobili di Palermo e Trapani, coordinati e diretti dalla Procura di Palermo, hanno portato al provvedimento di fermo eseguito questa notte a carico di 34 soggetti, ricostruendo innumerevoli episodi criminosi realizzati dai membri del gruppo criminale.

L’incessante attività di indagine ha meglio puntualizzato i meccanismi di funzionamento del sistema facendone emergere tutte le caratteristiche. Nel territorio palermitano sono presenti ed attive varie “squadre di spaccaossa”, ognuna comprendente gli addetti al procacciamento o reclutamento delle vittime consenzienti, i soggetti specializzati nella realizzazione delle fratture e quelli incaricati di contribuire con diverse mansioni al compimento delle truffe (dal trasporto delle vittime all’ausilio logistico o materiale agli spaccaossa, fino al ritiro di referti ed altra documentazione medica o all’assistenza delle vittime nella fase di convalescenza).

Le diverse squadre di spaccaossa intrattengono rapporti “d’affari” con i diversi acquirenti delle pratiche attivi in città, ciascuno dei quali operante secondo una differente “competenza” territoriale, individuata in base ai rapporti con i referenti locali della criminalità organizzata.

Le modalità organizzative sono così ben collaudate che hanno dato vita ad rapporto “circolare” che lega le squadre di spaccaossa e gli acquirenti di pratiche: ogni squadra fratturava “vittime” per conto di diversi acquirenti, imparando a conoscerne e rispettarne rapporti e reti relazionali, sfruttandoli per il proprio tornaconto.

Contemporaneamente, sono emersi i rapporti esistenti tra i diversi acquirenti attivi nei vari quartieri di Palermo, i quali in caso di criticità riescono sempre a raggiungere un accordo con piena soddisfazione di tutte le parti. E così, nel caso in cui una stessa pratica venga venduta a più acquirenti, per eccessiva avidità del venditore, per evitare lo scontro fisico tra gli acquirenti è prevista la regola di privilegiare il primo acquisto, con correlato risarcimento del danno per il secondo acquirente.

Si tratta, come risulta con evidenza, di un “sistema” vero e proprio, gestito da più “registi” posti tra loro ad un livello orizzontale, ossia i diversi acquirenti dei quartieri, talvolta spalleggiati dai criminali più “in vista” della zona.

Il sodalizio, messo a nudo nei suoi meccanismi fondamentali dalle indagini degli ultimi mesi, si mostra sempre uguale a se stesso. A fondamento del sistema criminale risulta la netta suddivisione operativa dei diversi contributi posti in essere dagli indagati incaricati di reclutare le “vittime” da fratturare, ai quali si affiancano i sodali deputati a praticare le lesioni ossee cui segue la presa in carico della “pratica” da parte dei complici deputati all’istruzione della domanda risarcitoria, all’assistenza legale per l’iter e alla riscossione del relativo premio assicurativo. Gli sviluppi delle indagini che hanno dato corpo all’attuale decreto di Fermo hanno delineato l’apporto fornito all’associazione da parte di taluni membri, accusati di essersi prestati all’impresa criminale fornendo competenze “tecniche”. Tra questi l’avvocato Graziano D’Agostino, che metteva a disposizione del sodalizio la sua preziosa opera “legale” istruendo le pratiche risarcitorie da produrre alle compagnie assicurative.

Gli sviluppi investigativi maturati nel prosieguo delle indagini puntualizzavano, inoltre, le responsabilità di alcuni membri della consorteria rispetto al falso sinistro costato la vita al cittadino tunisino Yakuob Hadry, coinvolgendo altri sodali nell’episodio criminale dello scorso 9 gennaio 2017, già contestato a taluni membri in sede di esecuzione del provvedimento dello scorso 8 agosto. In particolare, sono emerse le ulteriori partecipazioni al reato di Gesuè Giglio, Alfredo detto “Lello” Santoro, responsabili di avere cagionato le fratture multiple inferte a Yakuob Hadry e averne provocato la morte.

In particolare, si evince che il cittadino tunisino, già dal pomeriggio del giorno in cui sarebbe stato ucciso, era apparso palesemente sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. Al fine di evitare che la vittima potesse sottrarsi alle lesioni gli stessi sodali gli erano state procurate ulteriori dosi di crack. A seguito di accordi intercorsi tra Francesco Faija e Gesué Giglio, era stato inoltre deciso che le lesioni dovevano essere particolarmente violente, al fine di ottenere il massimo in sede risarcitoria. Anche le dichiarazioni rese dai due collaboratori già fermati durante l’esecuzione del primo provvedimento di fermo dello scorso agosto confermavano quanto le condizioni di Hadry fossero già disastrose al momento della preparazione del luogo del sinistro. Nonostante tale drammatica evidenza tutti i partecipi hanno deciso di insistere nei propri propositi criminosi, in tal modo accettando il rischio di provocarne la morte, intervenuta per arresto cardiaco, a seguito delle lesioni infertegli da due dei sodali indicati dai diversi dichiaranti come i più violenti e spietati tra gli spaccaossa, ossia Gesuè Giglio e Alberto Lello Santoro.

Dalle nuove acquisizioni, pertanto, sono emerse carico di Francesco Fajia, Alberto Lello Santoro e Gesué Giglio chiari indizi di colpevolezza, in ordine al più grave delitto di omicidio doloso con dolo eventuale.

La gravità del fenomeno criminale investito dalle indagini sta tutta nei numeri emergenti dall’odierno provvedimento. Sono state ricostruite attraverso attività tecniche, riscontri documentali e propalazioni di collaboratori, numerosissime frodi assicurative (70 episodi ricostruiti nei minimi dettagli). La capacità degli investigatori della Polizia di Stato ha permesso, inoltre, una volta identificate le potenziali “vittime” delle gravissime fratture, di ascoltarle avendone poi le confessioni auto ed etero accusatorie. Ben 50 le “vittime” ascoltate, che hanno consentito con i loro racconti, spesso colmi di disperazione e indigenza, di avvalorare il quadro accusatorio spiegando i tristi motivi che li avevano portati ad accettare la rottura delle loro ossa. Sono così emersi, in maniera ancor più chiara i dettagli di come gli “spaccaossa” operavano. In questo contesto non mancavano episodi di minacce di cui gli arrestati erano artefici affinché le “vittime” completassero l’iter finalizzato alla riscossione del premio assicurativo. Nell’ambito dello stesso procedimento penale rimangono indagati, oltre ai 36 fermati, 211 soggetti, tra i quali figurano anche medici, periti assicurativi e avvocati.

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