Politica e morale: l’errore di Scalfari

redazione

Politica e morale: l’errore di Scalfari

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venerdì 08 Dicembre 2017 - 07:00

L’affermazione di Eugenio Scalfari, fondatore del quotidiano la Repubblica, che è stato uno strenuo e ventennale oppositore delle politiche berlusconiane, di preferire Berlusconi a Di Maio, poiché la politica non ha nulla a che vedere con la morale, ha suscitato nell’opinione pubblica italiana un vibrante dibattito polemico. Di fronte alla profonda indignazione di molti, che gli hanno rinfacciato l’incoerenza della sua posizione, Scalfari ha tirato un coniglio filosofico dal cappello: Aristotele è stato il maestro di Alessandro Magno che poi dimenticò gli insegnamenti del suo maestro, perché per governare la morale è inutile.

E’ davvero così? Non vi sono punti di contatto tra politica e morale? La politica, a dispetto dell’etimo del termine, è solo esigenza di governabilità, come sostiene il decano dei nostri giornalisti?

Non credo che Scalfari abbia ragione e cercherò, brevemente, di spiegarne i motivi.

Innanzitutto, affermare un principio basandosi su un esempio non vale razionalmente a vanificare la bontà dell’insegnamento. Se così fosse, dovremmo buttare alle ortiche non solo il pensiero di Platone e Aristotele, ma anche quello di Seneca, che fu maestro di Nerone.

D’altronde, sul piano degli esempi di politici che hanno impostato la loro azione sulla morale non vi è che l’imbarazzo della scelta: basti pensare, nel medioevo, al sovrano illuminato Federico II di Svevia, e in epoca recente a Nelson Mandela o a Gandhi. Anche sotto questo profilo, pertanto, il pensiero di Scalfari è inficiato da diversi vizi logici e storici.

Tuttavia, il punto nodale della questione, aldilà del convincimento di Scalfari e del suo arrampicarsi sugli specchi per favorire il pregiudicato Berlusconi al giovane Di Maio – ma il paragone potrebbe includere anche altri esponenti politici che non hanno mai avuto guai con la giustizia – è l’analisi tra morale e politica.

E’ cioè vero che, come diceva Machiavelli, riportandolo da Cosimo de’ Medici, che gli Stati non si governano con il pater noster in mano, oppure come sosteneva Sartre che fa sostenere a uno dei suoi personaggi l’affermazione secondo cui chi svolge attività politica non può fare a meno di sporcarsi le mani?

Secondo Norberto Bobbio, che al tema ha dedicato molti studi, innanzitutto si dovrebbe avere a mente che quando si parla di morale in rapporto alla politica, è a quella sociale che si fa riferimento, cioè alla morale di un individuo che con la sua azione interferisce con la sfera di altri soggetti. Se esiste una morale comune – religiosa o fondata su altri presupposti – questa ricomprende sicuramente il divieto della violenza e della frode. Il politico può farne a meno?

Bobbio ripercorre la storia del pensiero e richiama l’insegnamento di Erasmo da Rotterdam e quello di Kant. Il primo sostiene che non vi è alcun contrasto fra morale e politica perché il Principe deve comportarsi da buon cristiano e le virtù del Principe sono la temperanza, la magnanimità e l’onestà. Kant, invece, affermava che l’onestà è la migliore politica ed è la condizione indispensabile della politica.

Si dice, però, che il politico non è un professionista come gli altri, ma è tenuto soltanto all’etica speciale del lavoro che svolge. E’ vero che il fine del politico è il bene comune, come quello del medico è la salute del paziente, ma la politica è anche techne, cioè tecnica del fare costruttivo e, pertanto, deve obbedire a regole etiche diverse. Ciò determinerebbe che il politico può agire con una condotta che al popolo appaia immorale ma che è, o potrebbe essere, il necessario conformarsi dell’individuo all’etica del gruppo cui appartiene.

La politica è quindi superiore alla morale? I mezzi devono sacrificarsi alla legittimità del fine? La ragion di Stato deve prevalere su tutti gli insegnamenti etici?

Bobbio sostiene che anche l’azione politica deve soggiacere al giudizio morale e che il potere non può avere come unica ragione il suo protrarsi nel tempo.

D’altronde, nemmeno Machiavelli – che non scrisse mai l’abusata frase: il fine giustifica i mezzi – teneva disgiunta l’azione politica dalla salute della Patria.

Per finire l’esame delle diverse concezioni sul rapporto tra etica e politica, occorre considerare la fondamentale opera di Max Weber, secondo il quale l’etica della convinzione e l’etica della responsabilità non possono essere disgiunte l’una dall’altra.

Se, pertanto, la politica non può che obbedire all’etica della responsabilità per assicurare la salute della cosa pubblica, a maggior ragione l’agire politico deve rispettare le norme fondamentali della Costituzione, la suprema fonte normativa che regola l’agire degli organi dello Stato. Negli Stati moderni, infatti, nessuno è legibus solutus, ma deve soggiacere all’osservanza ai principi dello Stato di diritto.

Scalfari, pertanto, sbaglia, e di grosso anche, poiché non vi è alcun futuro dell’umanità se si disconosce l’insuperato insegnamento kantiano: il cielo stellato sopra di noi, la legge morale sopra di noi.

Fabio D’Anna

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