Processo “spese pazze” all’Ars, chieste sei condanne

redazione

Processo “spese pazze” all’Ars, chieste sei condanne

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giovedì 12 Settembre 2019 - 18:09

La Procura della Repubblica di Palermo ha chiesto la condanna di tutti e sei gli imputati del processo sulle “spese pazze” all’Assemblea regionale siciliana. In particolare, il pubblico ministero Laura Siani ha chiesto le seguenti pene: 4 anni e 3 mesi per Cataldo Fiorenza e Salvo Pogliese, 3 anni e 9 mesi per Giulia Adamo, 3 anni e 6 mesi per Rudi Maira e Livio Marrocco, 3 anni per Giambattista Bufardeci. Gli ex deputati regionali sono imputati per peculato davanti al collegio presieduto da Fabrizio La Cascia. Si tratta di uno stralcio dell’inchiesta condotta dalla Procura palermitana e che nel 2014 si concretizzò con la notifica di circa 80 di avvisi di garanzia nei confronti di deputati regionali e impiegati dei Gruppi parlamentari, a vario titolo accusati di aver  utilizzato per fini personali i soldi assegnati per l’attività istituzionale. Per alcuni indagati è stata la stessa Procura a chiedere e ottenere l’archiviazione. Altri sono stati prosciolti in occasione dell’udienza preliminare.

Nel corso dell’udienza di oggi, l’ex deputato regionale Livio Marrocco ha reso dichiarazioni spontanee, respingendo le accuse mosse a suo carico. Sicura della propria innocenza anche l’ex capogruppo all’Ars dell’Udc Giulia Adamo, che ha inviato a riguardo una nota agli organi di stampa: “Finalmente siamo giunti alle battute finali di un annoso processo (si procede per fatti che vanno dal 2008 ai primi del 2012). L’iniziale accusa è stata nel tempo ridimensionata, anche con l’intervento della Corte di Cassazione che ha sancito che in Sicilia, all’epoca, non vi era alcun obbligo di rendicontare le spese dei Gruppi. Oggi il pm ha richiesto la mia condanna per poco più di 10 mila euro, spesi nell’arco di cinque anni. La mia difesa (avvocato Luigi Cassata) ha invece, documentalmente, dimostrato che nello stesso periodo io avrei potuto legittimamente disporre di 141.743,71 € a titolo di indennità di presidente del gruppo. Tali somme non sono state da me utilizzate. Ancora oggi non capisco di cosa mi si accusa: avrei speso poco più di 10 mila euro quando avrei avuto diritto a più di 140 mila euro. Io ho agito in totale buona fede, senza infrangere alcuna norma. Rispetto il ruolo del pubblico ministero il quale, avendo il compito di sostenere l’accusa in giudizio, ha richiesto la mia condanna. Alla prossima udienza il mio difensore chiederà la mia assoluzione con formula piena ed io, con la massima serenità, confido nel giudizio assolutorio del Tribunale”.

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